giovedì 22 dicembre 2016

DIALOGHI: Essere e apparire

"Indossiamo vestiti.
Il vestito dell'uomo innamorato, il vestito della donna spirituale, il vestito della persona per bene e onesta, il vestito del dentista, il vestito dello yogī, il vestito del cristiano.Pensiamo che avere un figlio è essere padre, una laurea essere dentista, farsi il segno della croce essere cristiano, avere una buona elasticità essere uno yogī, conoscere il pensiero dei filosofi essere un filosofo, fare la carità essere caritatevoli.Niente di tutto questo fa di noi qualcosa del genere, finché non siamo disposti a dimenticarci di essere questo e quello e di essere fatti in un certo modo.Il concetto principale da sradicare è "io". Tutto il resto si poggia su questo concetto solido e lo perpetua. Niente di ciò che facciamo ha un qualche valore se è un aggiunta a questo concetto solido principale.Ricreare un'immagine di noi stessi ogni volta che approcciamo a qualcuno o qualcosa, è un disastro. Non ci permette MAI di entrare a contatto con nulla. Riconosciamo, vediamo, sperimentiamo che siamo NIENTE, e poi forse da lì è possibile fare una famiglia, avere figli, praticare yoga e andare in Chiesa."





domenica 18 dicembre 2016

DIALOGHI: Nostalgia è magia

"Puoi parlare della nostalgia, quella legata al passato. Per me è difficile sostenerla..."


"Non puoi sostenerla, per fortuna. L'ego non ce la può fare, perché quell'emozione è troppo grande. Ci prova, cercando di creare una storia associata all'emozione, in modo da ridurla. Ma non può, prima o poi cede.
Il ricordo è magia.
Quando il "me" è certo di essere stato in quel luogo, e di aver avuto una sua storia personale, il ricordo perde molta di quella sua magia.


Non è più visto come un quadro in cui il "me" non può essere separato dal resto della scena, ma come se realmente fosse accaduto qualcosa intorno ad un soggetto separato. Se lo si guarda bene non è così. Nella scena non si può staccare.  E' una storia che la mente si racconta per paura di abbracciare quella magia, senza riferimenti. Quel senso di nostalgia, quel sapore malinconico, non ha più un legame ad una persona o elemento del ricordo, ma è rivolto a questo sentimento in sé stesso. Poiché è senza motivo, resta la magia.
Talvolta il "me" si chiede perché le cose siano andate così e se potevano andare diversamente, ma è ovvio che la domanda muore sul nascere. Non c'è risposta e non c'è domanda. Rimane quel sapore.
Senza riferimenti, senza appigli, rimane una carezza malinconica, in cui il ricordo viene lasciato essere senza manipolazione, rimpianto, rimorso, rancore, dubbio.
Muoiono gli elementi psicologici, rimane l'emozione. Non è più un rammentare, ma un ricordare.
La potenza di quella nostalgia è pari a quando si potrebbe essere su un letto e, prima di morire, si riguarda quella storia. Chi l'ha vissuta? Dov'è ora? Cosa è rimasto? Sembra esser stato tutto un sogno, perché, di fatto, lo è. Allora quella magia è pericolosa per la mente, per il "me", perché annulla la razionalità. Non è più necessario tentare di collocarsi in qualche punto temporale, non c'è posto per un "me". C'è solo la nostalgia, e una nostalgia senza oggetto nostalgico, è felicità. Normalmente la nostalgia è diretta al voler tornare indietro, o riavere ciò che si è trascorso. Se si lascia andare questa fantasia, rimane un vibrare intenso, che per l'immagine che abbiano di noi stessi risulta pericoloso. A volte sembra che il ricordo faccia male, malissimo. Si ascolta una canzone, si vede una bicicletta, si cammina in una strada, ed ecco che riemerge quella potentissima nostalgia. Se quel sentimento non si localizza in una storia, in un punto del corpo, si può espandere. Può uccidere, perché ciò che si cerca, realmente, è la morte del "me", dell'ego, della storia personale. Si vuole lasciare libera l'associazione tra due oggetti, me e il ricordo. Rimane il ricordo. E ancora, senza ricordo, poiché non è lì, indietro, ma è sempre qui, ora, rimane l'emozione. E' adesso. Nessuno se n'è andato, nessuno è morto, nessun luogo è stato salutato. E' sempre dentro di noi, anche allora era dentro di noi. Solo, che per mancanza di chiarezza, sembra essere accaduto "fuori". Talvolta presentiamo che con qualcuno appena incontrato staremo insieme per molto tempo, talvolta un'altra persona sembra la reincarnazione di un vecchio amico. E' il sogno, il mistero, la magia. Non deve essere spiegato, analizzato, come si fa violentemente con le favole, ma va sentita la sua suggestività, la sua potenza misteriosa. Incontriamo qualcuno, chiudiamo gli occhi, rimane l'emozione. L'incontro è sempre con noi stessi. Questa chiarezza toglie dolore alla nostalgia, e la paura del futuro si annulla. Passato, presente e futuro si fondono in un unico punto, e si vede come nessuno sta vivendo la vita, ma è questa stessa ad apparire a qualcosa senza nome. Normalmente, invece, un ricordo fa troppo male, o magari lo si idealizza. Si vuole tornare indietro, oppure si vuole cancellare. Quando manipoliamo, tentiamo di cancellare una bellezza impossibile da nascondere. Questa riemergerà, prepotentemente. Il nostro corpo si chiuderà, la nostra mente rifiuterà, perché non si può contenere tanta magia. Lo facciamo anche con i sogni, vogliamo averli lucidi per manipolarli, vogliamo analizzarli, comprenderli. Vogliamo tornare indietro al trauma per risolverlo, vogliamo purificare a senso nostro, liberarci da qualcosa. In realtà abbiamo paura, siamo terrorizzati dal lasciare le porte del mistero che siamo aperte. Allora lasciarsi uccidere dal ricordo, senza pretendere che si trovi nel passato o che qualcuno in particolare l'abbia vissuto.
Si rimane con quel mistero."

https://www.youtube.com/watch?v=ZYgX3CqdoEw&list=PLUn0Bgo4IJIRcwtF2YADI6_p8osL7IXao&index=29

sabato 17 dicembre 2016

DIALOGHI: La vita non ha bisogno di te

"Accettare qualcosa è romanticismo. La situazione, l'istante, è scientificamente inevitabile. Non c'è spazio per qualcuno che debba accettare o meno. Non c'è il tempo né lo spazio, ma solo azione. La situazione, la vita, il momento, non ha bisogno della nostra approvazione. Si fa fronte a ciò che si presenta, senza commenti. Se ci sono dei commenti, l'istante ha presto questa forma. Si parla di accettazione quando non si accetta che il controllo è un'illusione"


"Secondo te siamo liberi di scegliere se reagire o agire? O non c'è nessuna libertà di scelta?"


"Ogni azione è una reazione. Non esiste un'azione scollegata che si possa definire personale, se osservi attentamente il tuo quotidiano."


Anche se si è "risvegliati"?


Non si è risvegliati! Si è quello che si è.
Essere risvegliati è essere, ed essere è senza etichette o diplomi.


Grazie delle risposte anche se non riesco a concepire di essere senza libertà di scelta se è questo quello che hai detto.


Non lo devi concepire o non concepire, ma osservare. 
Guarda bene quelli che definisci tuoi pensieri, azioni, emozioni, e cerca di trovare dove pensi di avere il controllo.
Ad esempio questa conversazione: hai scelto delle risposte da dare o sono state conseguenza anche delle mie? Puoi scegliere che pensiero avere prima di percepirlo? Puoi stabilire se avere lo stimolo per fare pipì? Puoi stabilire prima come ti sentirai se tua moglie ti lascerà? Il tuo passato può essere stato diverso di un millimetro? 
Si osserva scientificamente tutto questo.
La libertà è anche un concetto romantico. La libertà è adesso, ed è slegata dalla situazione. Si è liberi di non dover essere liberi. Per quello che credi di essere, cioè una persona che ha delle scelte, non sarai mai libero. Si è libertà, non liberi. 
Non esiste alcuna libertà se non nell'istante. Voler essere liberi da qualcosa, è paura di vivere. Volersi liberare è imprigionarsi.


"Sono libero di osservare o non osservare, di essere consapevole o di non esserlo? almeno questo concedimelo "


"Vedi, la paura di non essere libero è proprio ciò che ti imprigiona.
Stiamo appiccicando parole per coprire il dato di fatto che si ha paura. L'unica cosa che dico è di stare onestamente con quella paura, senza cercare di coprirla con un'idea di risveglio, di essere se stessi, di essere liberi o consapevoli. 
C'è paura, è un fatto.
Stai con quella paura, sentila, ascoltala"


"ho capito, lo farò! anzi lo sarò"



"Certo che lo farai, non hai scelta ;D "




sabato 3 dicembre 2016

DIALOGHI: Follia nascosta


"La tensione è solo ben nascosta. Basta toccare una persona per farla mettere sulla difensiva o farla piangere. In circostanze abituali, quando tutto va bene, questa follia rimane nascosta. Solo in situazioni realmente difficili ed impreviste si vede il vero volto di qualcuno. E' semplice prendersi per spirituali ed iniziati finché la situazione lo consente. Poi si perde il lavoro, mia moglie mi lascia, muore il mio cane, e dico "no" alla vita. Posso soffrire, soffrirò sicuramente, ma contemporaneamente ringrazio la vita. Ringrazio per avermi donato questo ricordo, questi momenti, queste gioie e questi dolori.
Diversamente siamo bravi, generosi, pacifici, finché la situazione lo permette."

lunedì 28 novembre 2016

DIALOGHI: Essere verità

"Desidera così ardentemente la verità, fino a diventarla. Quando sei verità, non puoi più scendere a compromessi con il vecchio mondo che creavi come ovvia risposta della tua paura di essere verità. Allora le perdite non saranno più traumatizzanti, tranne che per la mente che cerca sicurezza, ma funzionali alla maturazione. Scopri come la tua vecchia paura creava un mondo di falsità intorno a te, e come questa manteneva attività, relazioni, professioni, abitudini, magari successi, amicizie, che non ti appartenevano. La paura della solitudine, di rimanere senza lavoro, senza amici, senza allievi, senza maestri, senza partner, senza approvazioni e considerazioni, cede il posto al desiderio di chiarezza, ad ogni costo. Allora le perdite e gli addii non sono verso qualcuno, ma verso parti di te, e un aggiustamento nel quotidiano si rivela."


venerdì 25 novembre 2016

DIALOGHI: Permettere

"C'è qualche cosa che posso fare per velocizzare il processo di liberazione?"

"Non solo non puoi fare nulla, ma nemmeno vuoi. Nessuno lo vuole, sarebbe troppo pericoloso."

"Nemmeno chi decide di lavorare su di sé?"

"Il vero lavoro su di te non lo fai tu, lo fanno gli eventi. Nessuno può e vuole fare un lavoro su di sé, perché nessuno vuole suicidarsi psicologicamente. Ti mantieni disponibile, perfino alla paura di non poter far nulla. Saranno gli eventi a chiarificare la tua direzione, al momento giusto sarai messo alla prova. Se l'intento è onesto e non esclusivo, tutto ciò che accadrà sarà sempre accolto anche se, magari inizialmente, questo porterà dolore, sofferenza, dubbio, paura, smarrimento, resistenza. Se, per esempio, ti trovi in una situazione di lavoro o sentimentale che non desideri più, ma hai paura di abbandonare perché ti da sicurezza economica o affettiva, ci penserà la vita a permettere questo. Arriverai ad un punto in cui quella sofferenza sarà insostenibile, e sarai costretto a cambiare. Il tentativo di farlo volontariamente equivale a voler anticipare i tempi, perché non c'è sufficientemente fiducia. Quest'ultima la si acquisisce vedendo che ogni cosa che accade, se vista con l'ottica giusta, ti porta pian piano a chiarificare sempre di più e pulirti di quelle zavorre."


mercoledì 23 novembre 2016

DIALOGHI: Non violenza è violenza


"Non si sopporta la violenza perché si sente la possibilità di essere violenti. Ciò che al di fuori di noi si vuole condannare, reprimere, modificare, è sempre ciò che non vogliamo vedere in noi. La violenza del "mondo" diventa intollerabile quando siamo violenti.
La vera violenza inizia quando pretendo che il mio corpo debba essere diverso, la mia mente pura e silenziosa, le mie azioni buone e giuste, il mio carattere sensibile e altruista. Questo si traspone in tutto il resto: mia moglie non deve pensarla in quel modo, il mio cane dovrebbe abbaiare di meno, mio figlio dovrebbe prendere sempre voti al di sopra del sette e mezzo, e il ladro non dovrebbe rubare.
Non si vuol vedere come la violenza è vita, e dunque si ha paura della vita. Essa è violenza fisiologica, la natura stessa è violenza. La situazione mi presenta costantemente ciò che rifiuto in me quando rifiuto la situazione. Ogni occasione è preziosa per vedere quanto siamo violenti contro la violenza. Le intenzioni di pace, di fratellanza, di giustizia, sono l'inizio di ogni guerra."

martedì 22 novembre 2016

DIALOGHI: Dire ciò che si pensa




"La paura degli altri mi blocca, sopratutto in campo professionale."

"Non dire ciò che si pensa è più faticoso di dirlo.

Il corpo sente l'impulso, e questo viene bloccato. 
Questo perché abbiamo imparato a tradirci ed essere premiati per questo. 
Ad un certo punto una forma di maturità porta ad una domanda: è più importante la propria salute, o mantenere sempre alto il livello di considerazione positiva nei nostri confronti? 
Ed ecco che la rabbia, la reazione, la parola, l'azione, diventa totale, pura, senza psicologia. Diversamente sarà solo un accumulo.
Questa maturità modifica la realtà, o meglio, costringe il mondo a ripagare il coraggio di essere se stessi."




sabato 19 novembre 2016

DIALOGHI: Aggressività

"Spesso mi vedo aggressivo con gli altri. Ho difficoltà a trattenere certi comportamenti, e mi rendo conto che proprio non riesco ad evitarlo. Hai qualche consiglio?"

"Cambiare il comportamento è solo una questione di immagine. Si cerca di non essere aggressivi con la moglie, ma lo si è con il cane o con l'autista del bus. Si scopre semplicemente che è più facile prendersela con il cane o con l'autista del bus, o magari con il politico che nemmeno può sentirti, piuttosto che con la propria moglie. Sarebbe poco conveniente per il tuo matrimonio.
Non puoi togliere l'emozione che crea aggressività, puoi solo spostarla.
Non ci sono nemmeno motivazioni profonde e nascoste da comprendere. Si diventa disponibili a sentire la propria aggressività non nelle ragioni, ma nei pugni che si stringono, nelle mascelle e al centro tra le sopracciglia. Si guarda la propria aggressività senza giudizio morale, come una rappresentazione teatrale. Ad un certo punto la tua aggressività non ti aggredisce. E' possibile che questa aggressività si riduca gradualmente se sentita nel corpo senza storie. A quel punto le azioni successive diventano possibili: ti iscrivi in un corso di boxe, o magari lasci la moglie. Ma se lasci la moglie credendo che sia lei a causare la tua aggressività, allora lo sarai anche con la prossima. Ti sentirai aggredito perfino da un sorriso. Il cambiamento è possibile solo se c'è chiarezza, altrimenti si cambia solo vestito. Il temperamento di base magari rimane, ma il senso di un'identità che debba cambiare qualcosa si elimina, e si rispetta ciò che risuona."




DIALOGHI: Società del fare

"Nella società del FARE chi si ferma è perduto ..
"Chi dorme non piglia pesci", "il tempo passa e non ritorna più"...
Mentre la natura ci insegna che ogni cosa matura da sé e al momento giusto senza forzature, l'essere umano quasi esclusivamente occidentale si sente pressato da una vita non sufficientemente soddisfacente nel suo essere fine a se stessa. Ed ecco che se non FAI sei un nullafacente.
Se nel tuo lavoro fai ciò che va fatto al meglio, poco ma bene, non lavori abbastanza.
Se non annuisci mentre qualcuno sta parlando e non dai un'opinione immediata, non stai ascoltando.
Se non ti fai sentire, sei disinteressato.
Se non urli, nessuno ti sente.
Se non combatti e competi, sei un perdente.
Se non credi a qualcosa, sei "non classificabile".
Se non bevi il cibo, sei lento.
Se non ti informi dei fatti del mondo, sei "fuori dalla realtà" ..
Se sei silenzioso e solitario, sei asociale.
Se sei triste, dovresti essere felice.
Se non ridi, sei depresso e dovresti ridere di più.
Se non pensi a niente, sei strano ..
C'è sempre qualcosa da FARE per cambiare le cose..
Tutte le patologie legate a quel senso di Dover Essere, Dover Arrivare, Dover Afferrare, Dover Opinare, ecc. sono legate a quella paura del vuoto, del silenzio, del nulla, inevitabilmente presente nella vita di ognuno.
Fai, fai, non importa se non c'è tutta la tua anima, se non c'è convinzione, se non c'è cuore, basta che fai, basta che arrivi, basta che produci, basta che concludi.
E' una cultura profondamente malata già dalle sue radici, che uccide letteralmente la cosa più preziosa che abbiamo, e cioè il silenzio, la creatività, l'arte, l'attesa, il sogno, la fantasia, il respiro"


giovedì 17 novembre 2016

DIALOGHI: Mente e pensieri



"Esiste qualcosa oltre la mente?"

"Esiste la mente? Come puoi conoscere qualcosa senza la conoscenza stessa su di essa? Prima di chiederti se esiste qualcosa oltre la mente, chiediti se esiste la mente, se esisti tu. Ogni cosa è creata dal pensiero, perfino la mente."

"Quindi esiste il pensiero ..."

"Esistono le parole per comunicare, ma oltre la conoscenza che abbiamo, non possiamo sapere nulla. E' pericoloso questo messaggio per chi crede di sapere qualcosa. Diciamo che, per questioni di semplificazione, usiamo ciò che viene definito pensiero per raggiungere uno scopo, poca differenza fa se materiale o spirituale, tanto è la stessa cosa. Un'energia nata dall'emozione di insoddisfazione crea oggetti del desiderio, un po' come immaginare qualcosa oltre la mente. Perfino i sogni lucidi, viaggi astrali o qualsiasi altra forma di attività oltre il convenzionale modo di vivere non dimostrano niente, perché non sono meno misteriose del mouse sopra la mia scrivania. E' il pensiero che decide cosa è superiore o inferiore, ma è sempre attraverso questo che facciamo esperienza. Il pensiero non si crea, è una risposta ad uno stimolo. Ma anche questo è poco esatto. Il pensiero interviene per codificare lo stimolo ma, prima del pensiero, non è possibile dire che c'è un soggetto (me) che sperimenta quella cosa lì (stimolo). Stimolo e risposta sono un unico movimento, non c'è tempo né distanza."

"Non è possibile osservare i pensieri?"

"Dove sei tu rispetto ai pensieri? Dove sono i pensieri? Come puoi mai osservare un pensiero? Esiste un movimento unitario, che il linguaggio definisce in un certo modo. Non cercare le risposte, fatti le giuste domande. Non fare domande che fanno tutti, fai le tue."

"Il corpo però esiste..."

"Il corpo è uno strumento di percezione, ma se l'attenzione non è localizzata, il corpo non è altro che un oggetto proprio come il cellulare. Prima di dire "il mio corpo" devi pensarci. Senza pensiero, dov'è il corpo?"


"Ma io guardo la mia gamba"

"Tu non puoi guardare. Guardi la tua gamba, ma essa è creata dalla conoscenza che ti hanno immesso. La percezione non ti dice che è una gamba, e nemmeno tua. E' la conoscenza che è stata inserita nel tuo computer quando eri piccolo che ti fa dire "gamba". Non guardi mai niente, solo proietti conoscenze su ciò che guardi. Il pensiero protegge se stesso."

"E' reale dunque ciò che viene poco prima del pensiero?"

"Reale o non reale, sogno o realtà, vero o non vero, vita o morte, sono concetti. Anche il pensiero è un concetto. Non c'è modo di sperimentare qualcos'altro oltre la conoscenza che si ha."

"Quindi siamo in trappola"


"Quale trappola?"

"Quella del pensiero. Lo scenario che si apre non è per niente promettente.."


"Per il pensiero stesso che vuole continuità, no di certo. L'unica trappola è il concetto che hai di pensiero. L'idea di poter muovere il corpo attraverso la tua volontà ti fa credere di essere un oggetto separato dal resto, e quindi nasce la paura. Il tuo corpo è mosso, non sei tu a muoverlo. Questo è sperimentabile.
Un bambino, per esempio, è un essere lucido. Da adulti si viene a creare uno scarto di tempo brevissimo tra ciò che percepisci e ciò che concettualizzi. Se qualcuno ti chiama, ti giri. Normalmente però oltre a questo gesto accade l'idea di "io mi sto girando" accompagnato al senso di esistere come protagonista dell'azione. Lì nasce il problema. Esiste un breve lasso di tempo di vuoto tra la percezione e la denominazione di ciò che percepisci. Questo è più evidente in situazioni difficili quando la mente è costretta a fermarsi."

"Come possiamo mantenere questo stato di vuoto"?


"Cerchi di utilizzare il pensiero per raggiungere il non pensiero. Ovviamente la battaglia è persa in partenza. Non puoi mantenere quello stato, perché non ti appartiene e perché rischieresti di finire in manicomio."

"Ma a te è successo?"


"Cosa?"

"Liberarti dall'ego."


"L'ego è un pensiero abituale che dice di aver compiuto l'azione. E' vero che l'azione è accaduta, ma pensare, fare, dire, non sono un fatto scientifico che un qualcuno li abbia prodotti. L'ego è questa attività. Il pensiero non è scelto, arriva. Decidere di pensare è un altro pensiero già arrivato."

"Se io decido ora di prendere il bicchiere?"


"Non puoi separare ciò che stai leggendo qui dal pensiero. Non hai scelta, non siamo divisi. Il fraintendimento è questo. Preghi, ad esempio, per la guarigione di una persona che ami. La persona guarisce. Dirai che è stata la preghiera ad averlo salvato, grazie a Dio. Ma se disegni una cornice intorno a questi due eventi, la preghiera non ha causato la guarigione. La relazione tra gli eventi è una storia, se guardi la totalità niente ha causato niente. Non avresti potuto agire come hai agito se quella persona non si fosse ammalata. Non avresti potuto fare queste domande se io non ti scrivessi certe cose. Chi causa cosa? Se guardi bene ogni azione è l'interezza a compierla, non tu. Si potrebbe dire che tu sei anche ciò che ignori di te. E' inutile tentare di raggiungere la non separazione o la non dualità, se sei già in quello stato. Si cerca di dimostrare quanto inutile sia ogni tentativo di separarsi dal resto. E' questo senso di esclusività che ci fa credere di essere superiori alle altre specie."

"O inferiori .."


"E' lo stesso. Vogliamo solo essere separati per poter esistere individualmente. Per poter dire "i miei problemi, i miei meriti, le mie paure, il mio ego, la mia anima, il mio maestro, mia madre, i miei denti." Allora si può facilmente finire all'altro eccesso, in cui la spiritualità romantica produce un senso di appartenenza, solitamente emotivo positivo, in cui ci si sente non separati. Non ha senso! si è sempre non separati, anche se decido di ucciderti in questo istante. L'uomo che uccide è parte del tutto. Non è necessario abbracciarsi per dimostrare l'assenza di distanza."

"La psicologia, o comunque tutti gli interventi anche dei guru, maestri, ecc.,  dove la collocheresti in questo ambito?"

"Non ci sono problemi, ma solo soluzioni. Le soluzioni che ci offrono non ci aiutano a risolvere i problemi, perché non ci sono problemi. Se tu avessi un problema con una grossa ferita, qualcuno potrebbe aiutarti a fasciarla, magari salvandoti anche la vita. E' un fatto. I restanti problemi sono puramente auto perpetuanti. Significa che abbiamo bisogno che qualcuno ci dica che siamo depressi, folli, incoerenti, malati, per poterci dare da fare a trovare le soluzioni. La fine della soluzione è la fine del problema. Noi abbiamo bisogno della paura, perché senza di questa sarebbe la fine del pensiero."





domenica 13 novembre 2016

DIALOGHI: Cosa è favorevole alla crescita?

[ .... ] " ... in una situazione senza possibilità di lavorare interiormente"

"Si ha l'illusione di credere cosa sia favorevole alla crescita interiore e cosa no, cosa mi serve e cosa non mi serve. Come faccio a saperlo? Chi mi credo di essere per saperlo? Crescita è una parola ingannevole, perché la vera maturazione passa sempre per una perdita di riferimenti, e non è volta all'acquisizione. Fare yoga o essere vegetariani non è detto che sia favorevole, perché ci si immagina più puri in queste attività. Niente di ciò che siamo profondamente è puro o impuro, niente nella realtà può essere purificato o sporcato. E' facile prendersi per persone spirituali quando si può meditare la mattina, mangiare il cibo che si vuole, evitare magari di innamorarsi e non esternare alcuna rabbia. Cosa succede nei momenti in cui mancano i libri profondi? In cui non ci sono maestri a disposizione e quando non c'è il tempo di meditare? Se dobbiamo improvvisamente partire per una guerra, se bombardano casa nostra, se perdiamo una gamba? In questo modo possiamo vedere a che punto siamo realmente. Non sto dicendo che sono situazioni necessarie per la crescita, ma non possiamo assolutamente dire cosa sia favorevole e cosa non lo sia. Alcune scosse che diciamo essere sfavorevoli sono, invece, proprio ciò che ci serve per rimuovere l'illusione di essere illuminati ed essere giunti da qualche parte. Se pensiamo che il guru sia favorevole e la mamma odiosa no, siamo in una fantasia.

"Dunque cosa è favorevole?"

"Tutto è favorevole quando l'indagine è una cosa seria. Chi dice questo si e quello no, non è onesto nella sua visione e non riesce a vedere che ha paura e cerca di coprirla. Favorevole è ciò che si presenta. Se sono povero, questo è favorevole. Se sono ricco, questo è favorevole. Se vengo lasciato, questo è favorevole. Se provo dolore, questo è favorevole. Ma se sono triste e cerco di meditare per stare meglio, non sono onesto. Se nel luogo in cui sono mi sento sfavorevole e penso che sia meglio andare in India dal grande guru, sto ancora sognando."

"Non dovremmo allora muoverci mai?"

"Impossibile, la vita è movimento, cambiamento. Semmai se ti muovi credendo di dover trovare qualcosa di favorevole da qualche altra parte piuttosto che qui, potrai anche farlo ma non troverai che delusione e frustrazione. Il vero cambiamento è possibile solo se la si smette di credere che il cambiamento è favorevole rispetto a qualche altra cosa. Chi crede di aver bisogno di qualcosa, è pericoloso. Cercherà sempre di prendere, amore o soldi, fa poca differenza."





sabato 12 novembre 2016

DIALOGHI: Chi crea?



"Creare la propria realtà è possibile. Quando manifesto un pensiero con una certa energia, poi di solito si avvera ..."

"Ciò che si avvera non è il tuo pensiero, ma il presentimento. Quello che chiami "tuo" pensiero, nasce in risposta ad un presentimento. L'atmosfera cambia, un po' come quando senti a distanza che un'amico si è fatto male, sta per piovere, in quel luogo tornerai, quella persona si rifarà sentire ...
Non c'è merito personale in questo, è un ingenuo errore di valutazione. Senti il cane, magari lo sogni, dopo due settimane un'amica ti presenta un cucciolo che non può tenere. Pensi di averlo creato, ma in realtà hai solo presentito. Nessun potere, quando si vive intensamente il presente il futuro è chiaro, è adesso. Il dualismo tra me, il pensiero creatore e l'oggetto creato, è una visione molto parziale. Un po' come credere che esista una Madonna che fa i miracoli. Il miracolo magari avviene, ma la Madonna è un'immagine. Non c'è separazione tra me e l'oggetto del desiderio, tra me il famoso Dio. Anche prendersi per Dio è un'errore. Per fortuna la vita è più saggia, sa sempre di cosa abbiamo bisogno, e non sempre ciò che ci accade è ciò che vorremmo, per fortuna. Immagina un potere enorme nelle mani di un bambino capriccioso. Solo con il senno di poi realizziamo che ciò che è accaduto era scientificamente inevitabile, ed era l'unico modo che avevamo per maturare. Noi non possiamo sapere cosa è meglio per noi, perché il "me" non può cercare che la sua sicurezza fisica e equilibrio ideologico. Se potessimo davvero creare la realtà, sarebbe un disastro! Per fortuna la realtà è già perfetta com'è, e noi non possiamo essere separati da questa. Inoltre non creiamo niente, è già tutto a disposizione."

"E allora chi crea?"

"Perché cerchi di sentirti meglio mentalmente? Non puoi lasciare tutto com'è? misterioso, aperto, indefinibile? Lo fai per paura di non poter controllare, di non avere potere su questo. E' sufficiente guardare il proprio passato, e osservare che vedi tante immagini. Nessuna causa, nessun effetto. Nessun prima, nessun dopo. Nessun me, nessun lui, nessun mondo. Vedi delle immagini, in quelle immagini rivedi tante "te" all'interno di un contesto. Puoi separare quelle "te" dal contesto? Puoi dire che il tuo pensiero, in un dato momento, sia nato spontaneamente? No. Per il semplice motivo che non c'è distanza tra te, l'evento e il pensiero. E' un tutt'uno, un unico blocco di realtà, un unico quadro che non può essere diverso di un millimetro da com'è. E' perfetto, indiscutibile, inopinabile. Le tue azioni sono scaturite in reazione a qualcos'altro, sempre. E' sperimentalmente osservabile, nulla di romanticamente spirituale."





 

giovedì 10 novembre 2016

DIALOGHI: Controllo




"Si ha paura di ciò che non si può controllare. Finché posso raccontarmi che ho sognato mentre dormivo, la paura è rimandata. Quando dico a me stesso che Dio è buono, che sono una persona per bene, o che merito una punizione, che mi sento in colpa, che sono codardo, rimando sempre il contatto con la paura. Qualsiasi storia posso raccontarmi va bene, anche la più terribile, ma non sia mai che rimango senza un qualcosa che dia un senso alla mia esistenza. Potrei scoprire che non ho controllo su niente, nemmeno sui miei pensieri, su quelli che dico essere i "miei" pensieri. Ho bisogno di poter credere, di poter controllare qualcosa, gestire, trasformare. Il terrore che mi metterebbe di fronte a questo dato di fatto, mi porta a cercare sempre qualcosa a cui credere, qualcosa per cui o contro cui combattere, a cui aggrapparmi, su cui sperare. Poca differenza fa se si tratta di mia moglie, del mio cane, del mio guru, della mia anima, del mio libro, del mio prossimo figlio o l'illuminazione che mi aspetta. Per questo la gente è pronta a fare la guerra o a farsi saltare in aria per difendere un'immagine. Fa meno paura farsi ammazzare piuttosto che rimanere senza un motivo per cui esistere."

"Accettare, dunque, di non avere controllo?"

"Non c'è da accettare, non c'è il tempo né il senso. La situazione non ha bisogno del nostro consenso. Un'anziana si fa investire, si ha uno choc, sentire, ascoltare. Non posso impormi di accettare, perché dovrei accettare? Cosa dovrei accettare, trasformare o trascendere? Le gambe si ammollano, viene voglia di svenire, di vomitare. Ognuno reagisce a modo suo. Ciò che mi tocca psicologicamente non l'ho ancora risolto. Questo non significa rinunciare ad una compassione immediata, totale. Non c'è da scegliere se accettare o meno. Quando vediamo un uomo che sta annegando, il primo richiamo è quello di tuffarsi senza pensare e salvarlo. Non si sa niente di lui, non sappiamo nemmeno nuotare, eppure nel nostro istinto avviene questo richiamo spontaneo. Poi è vero, si fanno le valutazioni, ma quelle sono successive. Ritornando all'esempio di prima, si soffre per la donna anziana. Tuttavia la nostra sofferenza non aiuterà la donna, aggiungerà solo altro dolore. Questa sofferenza prolungata ed inopportuna ci impedirà di occuparci della nostra famiglia, del nostro cane, del nostro lavoro. Ad un certo punto, orgoglio, sofferenza, vanità, non sono altro che perdite di tempo e di energia. Ogni idea su di me, e quindi sulla vita, non è altro che un ingombro alla mia efficacia nell'agire. Ciò che non ci serve, se visto, va via al momento giusto. Ma se siamo vanitosi non c'è da accettarlo, è un fatto. Rimanere con ciò che c'è, e non è qualcosa che si può non fare. Ad un certo punto scopriamo che è inutile fare la guerra all'evidenza."

domenica 6 novembre 2016

DIALOGHI: Sincerità

"Riconoscere che non si vuole sincerità.
La verità ci costringe ad un capovolgimento interiore. 
Un cane morde un'altro cane, è sincero. La sua azione è totale, non c'è qualcosa che avrebbe dovuto fare e non ha fatto, non c'è residuo psicologico. E' accaduto, c'è azione. L'attimo dopo i due cani potrebbero tornare a scodinzolare. 
Un bambino piange, si arrabbia, urla, è sincero.
Da adulti impariamo a mentire, innanzi tutto a noi stessi. Vorremmo dire qualcosa, ma lo diciamo in un'altro modo. Poiché ci auto censuriamo, temiamo che gli altri lo facciano costantemente con noi. Poiché vediamo solo il lato esteriore, la forma, non possiamo andare in profondità, e ci sentiamo costantemente giudicati, offesi, urtati.
Nella sincerità nessuno ci urta, nessuno ci giudica. Siamo sempre noi stessi che, con il nostro rumore interiore, pretendiamo che l'altro possa urtarci.
Chi si sente giudicato, giudica."




giovedì 3 novembre 2016

DIALOGHI: Nessuno è sensibile

"Spesso mi sento urtato nella sensibilità. Al di la di ciò che dici, mi ritengo una persona particolarmente sensibile."

"Che significa "io sono una persona sensibile?"
La persona non può essere sensibile, perché cercherà sempre il suo tornaconto emotivo.
E' frequente prendersi per persone sensibili, quando invece si vuole compiacersi della propria fragilità affettiva con retrogusto sentimentalista. Vedersi come persone sensibili è solo un'altra immagine, molto utile nei contesti sociali convenzionali, che vivono nella separazione "io sensibile, tu no, io ferito tu non comprendi..."
La vera sensibilità, se è la verità che cerchiamo, inghiotte la personalità e il concetto stesso di sensibilità. Sensibilità è ascolto. In questo ascolto non può esserci posto per un io sono sensibile. L'io traduce questo ascolto per riportarlo al conosciuto, quindi alla sua convenienza.
In un ascolto senza riferimenti, senza cause, senza etichette, senza bisogno, si scorge la sensibilità che non è di nessuno, se non nel pulsare stesso di quella che chiamiamo vita.
Essere sensibili significa essere vuoti, disponibili, non fragili e romantici. Sentirsi urtati nella "propria" sensibilità è sintomo di mancanza di sensibilità, perché nell'ascolto niente può urtarci se non noi stessi. Quando si oppone resistenza, non si ascolta. Quando ci si sente toccati personalmente, si ascolta questo malessere senza pretendere di essere qualcosa. Non tradurre le tue paure appiccicando etichette, come quella di persona sensibile."




martedì 25 ottobre 2016

DIALOGHI: Il guru

"Che male c'è ad andare da un guru? E' per il semplice gusto della condivisione"

"Puoi andare dove vuoi, ma domandati perché lo fai. Cosa può darti? Cosa stai cercando?
Renditi conto, onestamente, che ciò che chiedi non è la condivisione, ma la pace che cerchi. Se cerchi la condivisione è possibile fare altro, come uscire con gli amici, o mangiare una pizza con il tuo guru. Non necessariamente, però, questo si deve mettere al centro dell'attenzione. In alcuni centri, satsang o scuole, si paga il maestro. Perché dovresti pagare qualcuno per condivisione? Io non do soldi all'amico perché faccia una passeggiata con me.

"Ma tu che insegni aikido ti fai pagare.."


"Assolutamente si. Io strutturo un percorso. C'è una didattica, c'è una pratica intensa dietro. Sono esistiti dei maestri che strutturavano una didattica, anche riguardo il lavoro psicologico. Lì ha un senso, perché qualcuno si prende l'impegno difficile di dare una struttura, una direzione. Poi il fine è, chiaramente, liberarsi da tutto questo. Si fa un lavoro approfondito, individuale. Si è affiancati da figure competenti, in ambito tecnico, artistico, psicologico. C'è una certa serietà dietro tutto questo, e anche una certa responsabilità. Non è da tutti, non basta sedersi al centro di una sala e dire che tutto è uno, siamo amore, non c'è nulla da fare e ci vogliamo tutti bene. E' vero che non c'è nulla da fare, ma dunque perché dovrei pagare qualcuno per stare in silenzio, per toccare le sue mani o ascoltare i suoi discorsi? Perché dovrei fare chilometri per ascoltare qualcuno che mi dice che è tutto così perfetto com'è? I discorsi sulla non dualità sono bellissimi, quando non sono copiati ed incollati, e scaturiscono per il piacere del silenzio, come un'opera artistica. Si ascolta un discorso del genere da una persona ispirata, ma non è diverso dal guardare un paesaggio, o una vecchietta completamente immersa nel suo atto di cucire. Non paghi la vecchietta per guardarla, non tenti di prendere qualcosa da una camminata nei boschi. Si fa per il piacere di farlo. Se dai soldi o qualcuno chiede soldi per questo, allora si vive in una profonda confusione. Si crede ancora che ci sia qualcosa che si da e che si prende, lì dove magari i discorsi del famoso guru si contraddicono. Quando comprendi non hai bisogno di andare a trovare il tuo maestro, nemmeno se sapessi che è sotto casa tua. Sei tranquillo, non manca niente. Pretendere che, per induzione, il cosiddetto guru ti passi la sua illuminazione toccandoti le mani o ascoltando i suoi silenzi, quello è un errore molto ingenuo. Sono ancora nella fantasia che lì, dopo, è meglio di qui, adesso. Sono nella gerarchia: sto creando dei livelli, sto dicendo che il mio fruttivendolo odioso è meno importante per me che il guru in India. Sto vivendo un'illusione, sto coprendo le mie paure più profonde. Devo imparare ad essere disponibile a ciò che mi si presenta, e questo è sempre a disposizione. Le paure, le ansie, la rabbia, sono sempre con me, ovunque io vada. Questo devo sentire, ecco tutto ciò di cui necessito.


"Non trovi che il contatto con una persona che abbia realizzato questo silenzio sia quantomeno propedeutico?"

La persona non realizza niente. Nessuno qui può dare questa tranquillità profonda e senza tempo. Puoi avere un presentimento, sia dal famoso guru, sia dal gatto del tuo vicino. Perché vai dal guru e non accarezzi il gatto del tuo vicino? Perché non tocchi un albero? Condividono lo stesso silenzio al di la di ogni forma entrambi. Perché non odori un fiore? Pensi che il guru abbia qualcosa di più? Puoi andare dal guru, magari per te è anche utile, ma un vero guru ti dirà di andare via, non di restare. Ti lascerà solo con la tua misera paura. Un guru vero non ti consola, non fa il secondo papà, vuole che tu viva la vita quotidiana con tutte le restrizioni che questa presenta. Puoi chiedere l'ora, il cibo, le attenzioni, il sesso, ma ciò che è essenziale, la pace che cerchi, risiede di istante in istante. Quando vedi la persona per quello che è, quando realizzi che non c'è nessun maestro e nessun guru, allora sparisce questa etichetta e diventa un amico, una persona qualsiasi. Semplicemente un individuo che funziona normalmente, efficacemente. Non ha nulla da darti e tu non hai nulla da prendere. Va benissimo dunque incontrare qualcuno con questa non pretesa, ma allora dunque perché pagarlo? O perché muoversi intenzionalmente verso di lui? Se accade un incontro questo è spontaneo, naturale. Non c'è volontà da parte del guru di trattenerti, di fare in modo che tu abbia bisogno di lui. Un vero maestro vuole la tua indipendenza, sia pratica che affettiva. Desidera che tu vada via, che tu trovi la tua stabilità e autonomia affettiva. Nessuna relazione può appagarti definitivamente, devi trovare questa pace da te. Nessuna soddisfazione profonda viene dalla situazione."




DIALOGHI: Aspettativa


"Senza un obiettivo, progetto, intenzione, mi sento passivo."

"Più ti aspetti qualcosa, più rinunci a tutto ciò che si presenta. Dunque, più sei nel programma, nell'obiettivo, più sei passivo. Sei prevedibile e ripetitivo. Non agisci, sei nell'attività. Si può rimanere fermi fisicamente ed essere molto presenti, pronti all'azione, come due samurai che incrociano le katane e aspettano un calo di concentrazione nell'altro. Oppure ci si può muovere molto come dei robot senza anima. Non vedo tutte le occasioni che mi si aprono nella vita perché sono preso dal mio misero programma. Dico no alla realtà per dire sì alla fantasia. Chi è attivo è sempre stanco, stressato. Fa tanto, ma in realtà non fa nulla. Per vivere è necessario gustare. Quando non sono più attivo, inizio ad agire. La mia azione è centrata, economica, concreta, efficace. Posso gustare un cibo quando smetto di prendermi per un vegetariano. Posso ammirare una Chiesa quando smetto di prendermi per cristiano. Posso combattere quando smetto di pretendere di vincere. Posso accarezzare qualcuno quando smetto di tentare di arrivare ad altro. Posso finalmente amare, sentire, gustare, respirare. Questo non significa che non utilizzo la mia agenda per programmare la settimana, ma sono pronto a cambiare direzione, perché non c'è nessun percorso. Chi rimane spiazzato di fronte alla guerra, la crudeltà, la violenza, la bisessualità, pensa che tutte queste cose non dovrebbero esistere.  E' chiaramente ubriaco e pretende di essere lucido."

DIALOGHI: Morte psicologica

"Più constati il condizionamento del corpo e della mente, più ne sei libero. Più cerchi di liberartene, più sei condizionato.
La patologia risiede nella necessità di sentirsi. Se non parlo con me stesso tutto il giorno, se non maltratto e non vengo maltrattato, se non mi ingozzo di cibo, se non prendo posizione su ogni cosa, se non riesco a smettere di parlare inutilmente, se non mi definisco vegetariano ... rischio di smettere di sentirmi.
Se non sento niente, se il pensiero non viene indirizzato ricreando un'identità innamorata o delusa, felice o triste, coraggiosa o codarda, cristiana o musulmana, emerge la paura di non essere. Se smetto di cercarmi in un equilibrio ideologico o fisico, non so più chi sono e cosa sto percependo. Se non tocco e non vengo toccato, mi sento morire. Una coppia ha bisogno di effetti speciali per mantenere viva la passione. Se non si litiga e non si fa pace costantemente, non si sente la relazione. Se non si ha una sessualità costantemente compensatrice, facilmente si sente il desiderio di andare con qualcun altro. Il bisogno di vivere forti emozioni, positive o negative che siano, nasce sempre da questa paura di non sentirsi. C'è perfino chi ha paura di dimagrire, nonostante si lamenti del suo stato fisico e cerchi in tutti i modi di perdere peso, e ovviamente non ci riesce. In realtà rischierebbe di occupare meno spazio, inconsciamente lo sa. Si ha paura di percepirsi in modo nuovo, evanescente. Le case sono piene di mobili vecchi e di oggetti inutili, perché si ha necessità di sentire il peso della forma. Lo spazio spaventa. Se la tv di casa è spenta ci pensa la radio dentro la testa a non spegnersi mai. Toccare il silenzio è paura. Questa è la morte psicologica di cui si parla qui, non la ricerca di nuovi riferimenti per fuggire ancora una volta. Se vivo con questa paura di non esistere poca differenza fa se vado a prostitute o pratico tai chi! Se smetto di credermi grasso, malato, spirituale, vittima, per bene, italiano, sperimento una vera e propria morte. Finisce il modo in cui percepisco quello che definisco ingenuamente me stesso e mondo. Non so più cosa sto guardando e cosa sta guardando. Quella morte senza ritorno è il centro focale della vera indagine interiore. Tutto il resto, contornato di belle parole colorate, fatto di emozionalismi, cuori ed esplosioni di luce, è l'ennesimo teatrino senza sostanza. Non c'è spazio per maestri e allievi, illuminati e non risvegliati, viaggi astrali e corpi di luce, tutto questo smette di avere una qualsiasi sostanza. Esiste la vita, che si esprime momento per momento, apparendo e scomparendo. Tutto ciò è perfetto, e mi riporta ad un vivere intelligente, dove questa necessità di percepirmi e di conversare con me stesso, viene vista per quello che è, cioè un inutile ingombro, un peso."




DIALOGHI: La verità non è un'opinione

"[ ... ] Ognuno deve trovare la sua verità .."

"La verità non è di nessuno. C'è tuttavia una differenza. Per alcuni soggetti le parole possono scaturire dal silenzio, per altri dai condizionamenti. La verità non è un'altro condizionamento, e non ci sono più verità. Le strade per arrivarci sono molteplici, ma l'arrivo è uno, e cioè l'andare oltre la sfera personale. Da lì non si afferma niente, non si fabbrica nulla. Non c'è da contestare ne da essere d'accordo, perché si evidenzia solo ciò che è. Se si parla di ciò che è, essere d'accordo o meno è soltanto un'altra accozzaglia di chiacchiere. Non ci sono verità proprie, il silenzio che testimonia ogni forma non è diverso e non è una questione soggettiva. Quando si filosofeggia sulle proprie verità, non sono altro che opinioni senza fondamento. La persona che ascolta questo prende per assoluto questo messaggio, e poiché si impone, pretende di differenziare il suo raggiungimento. L'unica cosa che può differenziare è il percorso, ma lo spazio che ingloba ogni percezione è condiviso e senza soggetto."




DIALOGHI: Pretendere di aver paura


"Nessuna paura viene dalla situazione, ma è la situazione che mi mostra che vivo nella paura.
Rimuovere o risolvere la situazione mi darà un sollievo temporaneo, ma prima o poi la paura originale sarà trasposta in qualche altra cosa."

D "E come rimuovo la paura originale?"

"Smettendo di pretendere di aver paura del cane, della mamma e della guerra. Quando mi rendo disponibile a non voler risolvere la paura della situazione, rimango solo senza giustificazioni. Smettendo di immaginare di aver paura di qualcosa in particolare, smetto anche di volerla risolvere, e faccio fronte a ciò che si presenta senza commenti. In quell'apertura posso finalmente agire precisamente senza affettività."

sabato 22 ottobre 2016

DIALOGHI: Predisposizione

"Il miglioramento è una spinta da seguire. Solo così possiamo trasformarci, anche spiritualmente"

"L'idea di miglioramento è infantile. Il dinamismo di voler cambiare fisicamente, mentalmente o spiritualmente, non fa vedere la realtà. La trasformazione è una favoletta, come l'evoluzione spirituale. Si vede subito chi è predisposto per qualcosa e chi non lo è. Innanzi tutto l'idea di trasformazione è sempre nel futuro. Quando avrò letto quel libro, quando avrò incontrato quel guru, quando avrò fatto quella pratica, quanto avrò risolto i miei conflitti, quando mi sarò illuminato, quando partirò, quando vincerò le mie paure, quando avrò conosciuto l'uomo della mia vita .. e il domani non arriva mai. Meno che te ne accorgi sei già morto con tutte queste belle speranze, vivendo un'illusione durata una vita.

"Ho visto gente cambiare ..."

"Io no, mai. Ho visto gente accumulare dati nel tempo, ubriacarsi di esperienze, ma cambiare profondamente mai. Ho visto solo l'attualizzazione di ciò che era inevitabile. Vi sono dei presentimenti che il corpo e la mente diverranno in un certo modo, e si può accettare o meno. Per vedere questo, però, è necessario non essere sommersi dal dinamismo di voler cambiare. Quando rispetto il presente, il futuro si rivela. Non significa che conosco gli eventi in anticipo, ma l'emozione è sentita con chiarezza. Quando vedi con chiarezza qualcuno capisci subito se può affrontare facilmente o meno le situazioni complesse della vita. Quando guardi un anziano puoi facilmente risalire al tipo di infanzia che ha avuto. Non esiste alcun sviluppo e alcuna scelta, anche se alla mente (ego) piace pensare che non è così. Niente si conosce, ma si riconosce. Niente cambia, solo si concretizza un potenziale. La potenzialità o le patologie sono già presenti, chiare. La mente è prevedibile, scontata. E' facile far spaventare qualcuno, offendere qualcun altro, o far innamorare una donna se sai che tasti toccare. Sul piano fisico, un gesto atletico che ti sembra di imparare è già potenzialmente presente. L'ostacolo è la mente che ha paura, quindi la devi convincere, attraverso la pratica, che il corpo già può fare quel gesto. La pratica serve a questo: alcuni riescono prima, altri subito, altri mai. Non è l'attività che crea la qualità, ma il contrario. Si è pittori, e in seguito si impara la pittura. L'auto indagine non è per tutti, come non sono per tutti certe attività sottili o certe opere d'arte. Questo è evidente, diversamente tutti smetterebbero di votare i politici, di piangere di fronte una partita di calcio, o di essere fisicamente e psicologicamente masochisti. Tuttavia ciò non accade. Non tutti si illuminano improvvisamente ascoltando le parole dei saggi del passato. E' romantico convincersi del contrario. Non ci sono prese di coscienza di massa, salti quantici collettivi o illuminazioni folgoranti. Quando vedi quei fenomeni sono forme di auto convinzione di massa, allucinazioni collettive. Il futuro non è dopo il passato.



DIALOGHI: Pregiudizio e perdono


"Quando si guarda qualcuno e non si riesce ad andare oltre la sua forma, questo manifesta il pregiudizio. Se si guarda un criminale come criminale, c'è una mancanza di chiarezza, sensibilità e rispetto. Per guardare qualcuno come criminale, dobbiamo prima guardare noi stessi come persone oneste. E una persona che si crede onesta è molto pericolosa, perché non conosce se stessa a fondo. Un criminale cerca esattamente ciò che cerchiamo noi, cioè essere felice. Uno psichiatra che lo prende per criminale dovrebbe cambiare lavoro. Assenza di pregiudizio è guardare senza commenti. Guardare qualcuno che sta per morire e non prenderlo per un morente, è una possibilità di stabilire un forte contatto con lui. Guardare un ladro come un ladro, e un barbone come un barbone, significa rinunciare all'evidenza, con il risultato che anche loro si vedranno così. Si sentiranno aggrediti dal nostro sguardo. Non ci sono persone ricche, povere, malate, stupide, sante, quelli sono vestiti. Quando si muore poca differenza fa se sei stato un santo o un assassino."

"Un criminale cerca di essere felice?"

Tutti cercano questo, solo che il criminale è più coraggioso. Le persone oneste hanno paura di farsi prendere, quindi preferiscono essere oneste. Un criminale va amato, e per essere amato non bisogna aver paura di lui. In questo modo è possibile fargli capire che non è necessario uccidere per trovare la pace. Giudicandolo criminale, assassino, ladro, si sentirà ancora più incoraggiato a fare ciò che fa. Questo non significa incoraggiare la criminalità, perché se la situazione lo richiede si agisce. Ma l'azione giusta scaturisce dalla comprensione della realtà. So che mio padre non poteva fare a meno di picchiarmi perché la sua sofferenza era troppo grande. Poiché non aveva il coraggio di affrontare mia madre, allora picchiava me. Ad un certo punto, quando sono fisicamente preparato e psicologicamente maturo, fermo la sua mano e lo invito a smettere con decisione. Non c'è giudizio o aggressività in questo, non è necessario, perché l'emotività della mia storia da vittima sarebbe un ingombro. Questa non mi permette di vedere la realtà. Agire è ben diverso dal pretendere che mio padre non doveva fare ciò che ha fatto. Non poteva altrimenti, era il suo modo per sentirsi meglio."

"Lo perdoni ..."

"Perdonare è un romanticismo da telenovela. Non si perdona nessuno perché non siamo superiori a nessuno. Si vede semplicemente che non c'è nessun colpevole.

giovedì 20 ottobre 2016

DIALOGHI: Violenza e criminalità


"Non bisogna far nulla contro la violenza?"

"Il tuo concetto di non violenza, quello è violento. Il criminale ha un ruolo molto importante, perché ci mostra che non può esserci sicurezza da nessuna parte. Senza furti, le persone inizierebbero ad illudersi di poter realmente possedere qualcosa. La guerra, i crimini, le violenze, sono delle opportunità per rendersi conto che non si possiede nulla, che ogni istante è prezioso. Non solo, ma è la paura a farci vedere realmente chi siamo. Le situazioni più difficili sono quelle che ci mostrano il nostro vero volto. Malattia, vecchiaia, sofferenza fisica, incidenti, sono opportunità per rimettere in discussione le nostre priorità e per rimuovere le nostre illusioni. Non c'è niente di nostro. Si fa il possibile per i propri cari, ma "propri" è solo una parola che si usa per comunicare. Non si hanno dei figli, non si possiede niente e nessuno. Questo non significa che non ci si interessa di loro, o che non si mette benzina nell'automobile, o che non si spolvera casa propria. Gestire le proprie risorse non è credere di possedere qualcosa."

DIALOGHI: Meditazione e agitazione

"Quando sono agitato medito ..."

L'agitazione è la tua meditazione, se scavalchi l'agitazione con la meditazione, chiamala fuga. Meditare non si fa, non è un'attività. Si rispetta il momento, l'emozione con cui ti trovi. Se piove, piove. Non puoi stabilire quando la pioggia finirà. Assaporala, non perdere l'occasione. Se non sei tranquillo, perché cerchi di esserlo? L'agitazione indica che hai qualcosa da controllare, come un'intenzione, un progetto. Se sei nell'aspettativa, sei agitato. Nel presente non puoi essere agitato.
Cosa causa l'agitazione se non una forma di megalomania? di pretesa?

"Perché di pretesa?"

Nel momento è impossibile sapere in futuro cosa è meglio per me e per chi mi sta intorno. L'agitazione è causata da questo, dall'idea di poter sapere in anticipo cosa accadrà, cosa fare, cosa non fare. In realtà l'agitazione non ti agita, mentre il tentativo di non essere agitato ti rende agitato. Dunque farai delle pratiche, andrai da certi maestri, leggerai alcuni libri, e sarai sempre più agitato.



DIALOGHI: Qui e ora

"I pensieri non mi permettono di rimanere nel presente. Dove sbaglio?"

Parli dell'adesso come se fosse qualcosa da cui puoi uscire. In realtà non puoi nemmeno provarci. Quando si parla del momento presente, si fa riferimento ad un'evidenza che non ammette errori. Non è qualcosa che si pratica, è qualcosa che è!
Il fraintendimento nasce dall'idea che "adesso" escluda passato e futuro, e quindi il pensiero. Il cielo non esclude le nuvole, le testimonia, anche quando sono dense e cariche di pioggia.
Non si pratica la "presenza", si vede che tu sei presenza. Questa presenza include anche il dover programmare il domani, o il ricordare lo ieri. Aprirsi al momento presente significa aprire le porte alle proprie paure, non chiudersi in una stanza per non far passare pensieri ed emozioni scomode. Al contrario, stai con quello che c'è: la preoccupazione per l'esame di domani, il ricordo intenso di un amore andato. La differenza è che non ti collochi in un frammento temporale, non ti prendi per un pensiero. Non sei "nel presente" in esclusione al passato e al futuro. Non puoi spostarti nel tempo, rimani sempre dove sei. Non sei collocabile, e quindi anche il concetto infantile di momento presente o di qui e ora, ad un certo punto, va abbandonato. Quando ti apri alla paura di non essere collocabile all'interno di una storia personale, vieni investito da un tornado di sensazioni contemporaneamente. Resti con l'emozione senza riferimenti, che brucia ogni immagine. La preoccupazione per il futuro diventa un eco lontano senza sostanza, e si rimane con il sapore di questo presentimento. Niente rimane, tutto scivola, perché non si oppone resistenza. L'emozione trattenuta finalmente si espande come un'acquarello, e si vive con quella mescolanza. Ogni evento, ogni pensiero, ogni ricordo, scatena questa mescolanza, dove raramente un colore è più visibile rispetto ad un'altro.  Paura, desiderio, tristezza, fanno male solo quando vanno risolte, quando sono pensate. In qualche modo scopri che ieri e domani, sono sempre ora. Il tempo smette di esistere, letteralmente, se non per questioni pratiche. Ma per quelle basta guardare l'orologio."

DIALOGHI: L'arte che libera

"La bellezza è al di la del gusto personale. Le etichette "bello" e "brutto", restringono il mistero riducendolo ad una sicurezza. Per una questione pratica la struttura del corpo - mente viene guidata verso delle tendenze che, però, possono dipendere dai condizionamenti. Quando l'intera struttura è consapevole delle restrizioni spacciate per gusti personali che, quindi, allontanano il diverso e lo sconosciuto, allora può muoversi verso le sue risonanze naturali.
Fino ad allora la persona definisce i canoni di "bello" in relazione ai suoi filtri, e quindi i gusti non sono altro che una proiezione chiaramente personale. Si dice "gusto personale" proprio per questo, e lì tutto rimane all'interno del soggettivo. Indagando interiormente, però, il personale viene riassorbito dalla spaziosità senza definizioni, e inevitabilmente le emozioni si espandono fino a toccare un punto di silenzio senza divisioni. Le opere d'arte, i film, le canzoni, saranno scelte (nel personale) solo in base all'associazione a certe forme di emozione e pensiero note, rifiutando ciò che provoca sensazioni scomode. L'errore è giudicarle come "esterne", e quindi come "brutte". La verità è che si ha paura di ciò che non si capisce, di ciò che esce dal nostro riferimento abituale. Quando familiarizziamo con sentimenti repressi come paura, rabbia, angoscia, tristezza, ansia, possiamo farci abbracciare da forme d'arte che si servono di queste emozioni per lasciarci avvicinare al nostro centro. Da questa posizione le scelte artistiche che faremo non dipenderanno più da un settore ridotto di emozioni (solitamente positive, della massa), ma dalla risonanza della sensazione che stiamo vivendo. Abitualmente quando si dice "no" alla tristezza, allora si tenderà a cercare una forma di attività che la copra. Le scelte artistiche, dunque, saranno virate verso emozioni che non ci dicono che siamo tristi, ma allegri e spensierati. Da questo dipende il fatto che la maggior parte delle opere commerciali hanno successo, perché la maggioranza della popolazione sceglie la menzogna."



DIALOGHI: Abitudine o scelta?


"Non riesco a liberarmi dalle mie abitudini e dai miei condizionamenti"

"Quando un condizionamento e/o abitudine è visto, non è più un'abitudine ma una scelta.
Si può definire condizionamento un meccanismo ripetitivo di cui non siamo coscienti. Se sei cosciente delle tue restrizioni, chi ti vieta di abbandonarle?

"La paura credo"

"Ad un certo punto si ha più paura del noto che dell'ignoto. Se non sei ancora a quel punto significa che hai bisogno del riferimento abitudinario per sentirti al sicuro."