mercoledì 21 novembre 2012

Psicologia dell'horror






PREMESSA: PAURA, O PAURA DELLA PAURA?

Esistono artisti che sperimentano emozioni definite negative. Alcuni di questi si "servono" di esse per riconoscere l'essere umano nella sua totalità e per sperimentarlo in tutte le sue sfaccettature. Altri invece sono "bloccati" all'interno della negatività (o della positività), e fanno del loro creare un qualcosa che come fine abbia la negatività/positività stessa. Quindi in altri termini, nel primo caso l'artista si "serve" dell'emozione per trascenderla, nel secondo caso il fine diventa l'emozione in sé. 





Coloro che entreranno in risonanza saranno allo stesso livello, più profondo nel primo caso, più superficiale nel secondo.
La curiosità verso la conoscenza di sé, porta l'uomo a dirigersi spesso in lidi meno "positivi", come ad esempio un certo "strano" interesse verso il genere horror. 
Cosa spinge l'uomo ad essere attratto verso la paura, un'emozione definita negativa? Perché identificarsi con essa? Se prendiamo ad esempio il film pornografico, l'attivazione dei neuroni - specchio stimolano l'eccitazione. 




Fin quì ok si potrebbe dire, ma allora perché una persona che fugge dal dolore è comunque attratta da esso?

Analizziamo la paura, non come concetto ma come precisa sensazione fisica. Dunque non come disagio/preoccupazione legato al tempo (la paura di non trovare lavoro, di non essere accettato, di essere abbandonato, ecc.), ma come istinto di sopravvivenza nell'istante, ovvero quella che considero la vera paura. Il resto è solo un concetto, solo paura della paura che attiva comunque risposte fisiologiche simili se non identiche, ma che non è legata ad un reale pericolo, come nel caso di una fobia.





Essa attrae, altrimenti non si spiegherebbe come mai la gente si butta nei sport estremi, nelle arti marziali o nell'alta velocità. La paura come sensazione permette alla mente di fermarsi, essendo la sua natura un chiacchierio senza fine, quantomeno la paura permette ad essa di focalizzarsi nel momento presente. Chi non riesce a trovare un "centro meditativo" nella sua vita (per approfondimenti leggere gli altri miei post), sente il bisogno di fermare quel maledetto chiacchiericcio attraverso qualche via di fuga.

Questa tensione fa sentire vivi, svegli, in allerta. Nella società condizionante in cui viviamo l'essere umano sembra cercare nuovamente il bisogno di risvegliare questo stato di attivazione.






Il fattore determinante è il seguente: poiché nella mente si crea lo scenario dell'irreale (è solo un film) questo è sufficiente per creare quel distacco per "godersi" la paura in tutta tranquillità, tanto prima o poi il film finirà. Quindi è come un prendere in giro la paura stessa, come un voler superare la paura della morte ... un sottolineare il fatto che ci si sente sicuri, comodi, seduti su una sedia. Ecco spiegato il rapporto paura/divertimento.
Azzarderei dicendo che chi ama/dipende dai film horror ha paura di morire, e attraverso essi si prende gioco di questa sua paura e cerca di dimenticarsene.





Potrei ancora azzardare dicendo che chi si sente spinto dalla necessità di sperimentare la paura, solitamente cerca di sfuggire dalla noia, condizionato dal fatto che non riesce a star bene con se stesso se non prova sensazioni forti. La noia sembra divorarselo, e vorrebbe esorcizzare questa paura di "morire" beffandosi della paura stessa. 
E' un po' come il credere di essere innamorati, scambiando l'amore per un'emozione. Essa inevitabilmente finirà, e si crederà di non amare più quella persona cercando sensazioni forti con un'altra. Le persone cambiano, il problema rimane.

HORROR O SPLATTER?




Vorrei fare innanzi tutto una differenza tra il genere horror e lo splatter, spesso confusi tra loro.
Trasmettere paura, come far ridere, non è cosa da poco. Oggi sono pochi i film che riescono veramente a spaventare, favorendo effetti speciali, sequel e prequel infiniti, remake in chiave moderna o 3D di film di successo ... insomma i "trucchi" per nascondere la carenza di idee sono tanti, e vista la superficialità del pubblico, hanno ovviamente sempre un grande riscontro.
Horror può essere qualcosa che non mostri una goccia di sangue, eppure mantiene in suspance per tutta la sua durata. La violenza fisica "grezza" associata al genere horror, crea ormai grande confusione e banalizza qualcosa di veramente artistico come la capacità di trasmettere paura.





L'attrazione verso lo splatter, è ben diversa dall'attrazione verso l'horror. Un adolescente di solito si sente attratto verso lo splatter, e i motivi sono semplici. 
Egli è in guerra con il mondo e con se stesso, i cambiamenti fisici da un lato lo spaventano ma dall'altro lo eccitano. Questa tempesta ormonale collegata con una fortissima energia sessuale, lo spinge verso lidi estremi. 
Lui stesso si sente un "mostro", un diverso, un disadattato ... quindi rivede nei "cattivi" se stesso, e prova un sottile piacere nelle immagini di violenza e squartamenti vari. Il vampiro ad esempio è il simbolo della sessualità nella sua espressione più violenta.
Direi che non c'è niente che non va, a meno tutto questo non diventa un'esigenza perpetuata nel tempo. La repressione sessuale, la ribellione e i cambiamenti fisici, sfociano in questo tipo di comportamenti e gusti. 





Un prolungamento del piacere sperimentato attraverso lo splatter, tuttavia, rivelerebbe una violenza interiore che cerca sfogo in qualche modo. 
Divertirsi guardando sbudellamenti e squartamenti, non riesco a vederlo come un comportamento sano, soprattutto superata una certa età e seguiti con una certa insistenza. A mio avviso rivelerebbe una repressione sessuale, una rabbia interna inconscia, e un'enorme paura della morte che cerca di essere esorcizzata godendo letteralmente nel vedere il dolore altrui. 
Non mi stupirei che si tratta di quella tipologia di soggetto che ride alla vista di qualcuno che inciampa e si fa male per davvero, oppure che si diverte a visionare video di incidenti, provando sempre grande ilarità. Nel sesso questa tipologia di soggetto non trova soddisfazione, poiché cercando di essere "violentato" un po' da tutti, non riesce a godere di un rapporto che oltre ad esso abbia anche un vero sentimento di amore. Anzi direi che attraverso il sesso fugge dell'amore, così come attraverso la violenza nascosta fugge dall'amore verso se stesso.
Ricordo che sesso e violenza sono strettamente collegati ... ad un certo livello.



PAURA E' ARTE, NON VIOLENZA


Essa può essere generata in due modi:
1) il primo è attraverso il sobbalzare (istinto), creando una suspance visiva/musicale, in cui lo spettatore si identifica con il personaggio che attraversa ad esempio il corridoio buio per poi saltare per aria al colpo di scena. Classica è anche la scena della tizia sotto la doccia, in cui ormai anche il mio cane sa che le accadrà qualcosa di poco piacevole.
2) il secondo è attraverso la paura psicologica, generata cioè dall'attesa nel tempo di qualcosa che potrebbe accadere. Un umore di sottofondo, un disagio costante, ed è questa l'altra carta che il film dovrebbe ben giocarsi. Più, ad esempio, il film horror è legato a qualcosa che viene interpretata dalla mente come "possibile", più ci si allontana dal fantasy-splatter adolescenziale, e maggiormente ci si avvicina al concreto. L'idea di Paranormal Activity ad esempio non è male, calando lo spettatore all'interno di una prospettiva realistica, ma la realizzazione lascia molto a desiderare.
Gusti.





La prevedibilità dei registi mi fa un po' sorridere, considerando che esistono tecniche veramente valide per creare questo tipo di reazione (risposta istintiva), senza bisogno di servirsi della convenzionale suspance prima dello scatto di paura. 
Ciò che fa realmente spaventa, così come ciò che fa ridere, è generato soprattutto dal prendere in giro la mente. L'imprevedibilità terrorizza o fa scoppiare da ridere, perché il pensiero si ferma rompendo i suoi schemi condizionanti. 






Per farla breve, se all'interno di un film presento una scena di tranquillità in cui la moglie abbraccia il marito con una musica rassicurante di sottofondo, e improvvisamente cambio la voce alla donna, pur seguendo la stessa linea di apparente tranquillità, questa interferenza crea un disturbo alla mente. Non se lo aspettava!
Un artista che riesce a disturbare la mente, che crea immagini e sensazioni anche apparentemente slegate tra di loro, riesce a superare i confini del prevedibile, lasciando un reale segno nello spettatore. 
La mente segue delle linee chiare di cause-effetto, essa è fondata sul suo concetto di senso, sulla logica. Per cui se la musica cambia in negativo, sicuramente qualcosa di brutto sta per accadere. Il regista "grezzo" si serve di questo stratagemma per far identificare lo spettatore, ma se egli è "sveglio" riesce a non identificarsi e trova banale e prevedibile questa tecnica ormai abusata. 





Un orsacchiotto sorridente è grazioso. Un mostro cattivo è brutto. E se io fondessi un orsacchiotto con un mostro brutto e cattivo?(volendo banalizzare) Creerei un'interferenza, un disturbo. I campi di applicazione sono infiniti, e non necessariamente basati sulla violenza fisica.
Immaginate una scena in cui, sempre in un momento di tranquillità, due amici conversano in macchina e uno dei due inizia ad urlare frasi senza senso. Ovviamente il tutto legato ad una trama, ad un senso, ma giocando sempre con queste sensazioni contrastanti. 

TRASCENDERE LA PAURA

E' possibile godere pienamente di qualcosa solo dopo averla superata, altrimenti se ne diventa schiavi senza neanche rendersene conto.
Una persona che ha riconosciuto e accettato tutte le sue parti, comprese quelle che vorrebbe non vedere, può cambiare forma perché non ha più una forma definitiva. 
Guardare un film horror a quel punto diventa un modo come un'altro per passare il tempo, e se ricco di una buona trama e di una certa abilità della regia, può veramente risultare un buon film (un esempio sono buona parte delle storie di Stephen King, che riesce a mescolare horror psicologico a trame veramente coinvolgenti.)





Piacevole non è solo qualcosa di positivo, perché rifiutare altre sensazioni significa, spesso, non voler vedere parti di sé che non piacciono. 
Questo accade per esempio nel pregiudizio musicale, e a questo proposito vi rimando al mio post sulla musica oggettiva.
A volte la paura dei film horror potrebbe essere collegata alla paura di riconoscere che, in fondo, vive in noi una parte violenta e incontrollabile, animale, che non vogliamo vedere.
Non sempre è così, perché se il film in questione è superficiale, cioè basato su una violenza fine a se stessa (come Saw) il disturbo generato dalla sua visione è, a mio avviso, giustificatissimo. 
In altri casi, riconoscere "l'oscuro" (inteso come il non conosciuto) come parte di se e accettarlo, significa trascendere la paura, e poter inglobare tutte le emozioni che si fondono in'unica essenza.
Questo è l'artista oggettivo, cioè colui che ha inglobato tutto, e si serve della forma per trasmettere un contenuto oltre essa.
Egli è centrato, nel senso che pur trasmettendo sensazioni negative, sperimenta uno stato di neutralità. La comunicazione passa solo quando il fruitore è al suo stesso "livello".

domenica 7 ottobre 2012

Chi ti ama davvero ...





Chi ti ama davvero non ama la tua maschera, va all'entità che c'è dietro.


Chi ti ama davvero vuole vederti ridere e piangere, così come ama il sole e la luna

Chi ti ama davvero te lo comunica con il silenzio, con uno sguardo, con una frase, con un tocco ... non ha bisogno di comprarti, di convincerti, di conquistarti. 

Chi ti ama davvero non si ferma al tuo pianto, tocca la tua commozione.

Chi ti ama davvero ti strappa via la maschera, e se sentirai dolore è solo perché hai paura di perderla

Chi ti ama davvero sa tutto di te senza bisogno di sapere nulla.

Chi ti ama davvero ti capisce perché non ha l'ambizione di capirti

Chi ti ama davvero non ti chiede chi sei, cosa hai fatto e cosa farai, non è interessato ad un'immagine

Chi ti ama davvero sa tutto di te, perché quando ti guarda, ti ascolta e ti tocca, diventa te

Chi ti ama davvero si annulla, non per te, ma con te

Chi ti ama davvero ama leccare le tue ferite

Chi ti ama davvero non è geloso, non ti fa sentire posseduto .. ma protetto


Chi ti ama davvero delle volte si sente molto stupido a dire "ti amo" trasformando qualcosa che muove la vita in una banale parola

Chi ti ama davvero ti lascia la libertà di essere negativo


Chi ti ama davvero non ha paura di perderti, perché sa di non poterti possedere

Chi ti ama davvero non promette, è sempre nel presente, agisce senza preparare


Chi ti ama davvero non vuole fiducia e rispetto, ti ama per il fatto stesso che respiri


Chi ti ama davvero gioca con te, e ti costringe a tornare bambino

Chi ti ama davvero fa in modo che sia silenziosamente il tuo ultimo pensiero prima di andare a dormire

Chi ti ama davvero ti ama talmente tanto da non aver paura di dirti "addio".



lunedì 11 giugno 2012

Psicologia della risata e condizionamento



La risata e il sorriso, sono processi in cui si verifica una risposta a un determinato stimolo “comico” esterno, producendo una risposta positiva.


La risata è istintiva, governata dal cervello primitivo (anche le scimmie ridono), ma può anche risultare meno spontanea. Ad esempio nel sorriso “finto” non sono coinvolti i muscoli orbicolari degli occhi che, infatti, fanno sorridere gli occhi. Interessante è notare come, alla presenza di un film comico o battuta, alcuni ridono e altri no. Cosa differenzia i vari tipi di comicità? Cosa c’entra con gli argomenti affrontati in questo blog? Ci arriveremo.
Si può ridere di una comicità inaspettata, si può ridere di una incongruenza, un non senso, oppure di un contenuto sessuale e aggressivo. 

NONSENSE, SMORFIE E “BUFFONERIA”


Perché ad alcuni fa ridere il nonsense? Questa è una mia teoria. La mente crea delle barriere di sensatezza e logicità, e alcuni sentono il bisogno di andare oltre, di spezzarle, di superarle. Tutto deve essere spiegato sempre razionalmente, altrimenti … si va fuori. C’è chi, oltre il muro della logicità razionale, non riesce e non vuole andare. Il nonsense, non lo fa ridere. Normalmente si tratta di soggetti maggiormente colpiti da una comicità più prevedibile, più schematizzata, più razionalizzata e di cultura. Non sanno rendersi ridicoli, non sanno tornare bambini.
Gli automatismi sono scardinati dal nonsense, che si fa beffe dei limiti condizionanti. Poi c’è chi ride vedendo qualcuno cadere o scivolare, e normalmente non sono coloro che ridono del nonsense e di una comicità “irrazionale”. C’è chi ride quando qualcuno si va veramente male, o magari si ride delle disavventure altrui per un senso di superiorità. Perché si ride del dolore o pericolo altrui?

BATTUTE A SFONDO SESSUALE

Mentre nella risata “nonsense” la tensione psicologica viene scaricata attraverso l’abbattimento di un limite logico, nelle battute a sfondo sessuale non puoi ridere se non sei, almeno in parte, represso.  La violazione di un tabù permette di scaricare la tensione sessuale e, di conseguenza, generare una risata liberatoria. Quando ci si libera di queste inibizioni, disagi  “controllo – repressione” sessuale e dal senso di colpa, le battute a sfondo sessuale non fanno più ridere. E’ chiaro, una certa acutezza potrebbe far ridere comunque, dipende sempre dalla battuta, ma è comunque difficile. Stesso principio vale per il risentimento religioso, che provoca una ilarità – reattiva nei confronti di battute di questo genere.




SARCASMO, SATIRA

Con il sarcasmo si umilia l’altro, mentre la satira (es. classico a sfondo politico) si evidenziano caricature, storpiature e difetti del personaggio, mettendo in risalto gli aspetti negativi. La pressione del sistema politico porta a reagire ridendo della satira politica, per esorcizzare questa insofferenza e disagio di fondo. Il risentimento nei confronti dell’uomo potente, trasformandolo in un fumetto, ci permette di poterlo attaccare quantomeno in questo modo. 




RIDERE DELLE DISGRAZIE ALTRUI

Mal comune, mezzo gaudio....
Le tante ingiustizie e frustrazioni ci portano a ridere del fatto che, se vediamo qualcuno che le subisce ci sentiamo inconsciamente meglio scaricandone la tensione e ridendo. L’attrazione verso il film horror/splatter e la violenza estrema, è un meccanismo simile, un modo per scaricare la tensione esorcizzando questa paura. Provoca sollievo vedere che non capita a noi ma a quell’altro, non ci sentiamo in colpa perché è un film, e quindi ridiamo o ci piace spaventarci. Ma è un’altra risata dell’uomo condizionato, frustrato, represso.
Se non si esce da questi condizionamenti il sadismo interiorizzato ha bisogno di scaricarsi in vari modi, e uno di questi è la risata attraverso questa comicità “bassa”.

 I fatalisti, infatti, utilizzano l'umorismo aggressivo e violento, che li fa sentire superiori e consente loro di scaricare le tensioni. Il loro rancore e senso di inferiorità, li induce a preferire barzellette contro gruppi etnici, culture e costumi. 










sabato 14 aprile 2012

Malinconia non è tristezza parte 1



ricordo l'uscita del libro:  http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/miscellanea/liberarsi-dentro-pintaudi.html




La distinzione tra malinconia e tristezza, è un po’ come quella tra isolamento e solitudine, cioè passare da un livello di sofferenza ad uno di insofferenza consapevole potremmo dire, di inquietudine, ma senza sperimentare la sofferenza propria della tristezza depressiva.

Non è una sofferenza che fa male, anzi, in questo “male” si avverte una piacevole sensazione profonda e diluita. E’ lo stesso motivo che ci spinge ad ascoltare una canzone malinconica o vedere un film commovente, senza entrare troppo nel merito della soggettività che non posso certo affrontare qui.  Di sicuro il fruitore di un’esperienza malinconica, un’opera d’arte, una canzone, un dipinto, un film o una poesia, se si trova in un livello superficiale di sé (alla ricerca di sole emozioni positive), percepirà tristezza rifiutando l’emozione. Bollerà l'opera come triste e la scarterà. Il superficiale non è in grado di accedere ad altri livelli emotivi più profondi, sta infatti in superficie: bloccato nei concetti e nelle teorie, nel giusto e nello sbagliato, nel bello e nel brutto. Il superficiale ama o odia, di solito un solo tipo di emozione grossolana, incapace di provare altri "livelli" perché lui stesso si chiude in un concetto e idea di se stesso, con un pizzico di vanto.


Il malinconico scende nella profondità del suo sentimento senza rifiutarlo, perché è parte integrante del centro, mentre il triste, perché annoiato, depresso o pauroso, non può accedere a questo “livello” perché non ha un centro. Poiché le sue emozioni interiori dipendono da stimoli esterni (soggetti, oggetti, situazioni, circostanze, avvenimenti) ed interni (pensieri, preoccupazioni, ansie, desideri, fastidi) non conosce altro ... non può! Tuttavia la tristezza, potremmo dire poeticamente o metaforicamente parlando, dell’anima, è malinconia. Chi non è in contatto con questa dimensione la rifiuta, perché ha timore del vuoto che crea. Ed ecco che ha paura di rimanere solo, perché se la sua felicità dipende dagli altri e dalle loro attenzioni, la solitudine diventa isolamento, generando l’egoismo che viene oggi abilmente definito gelosia.



La mia definizione personale di malinconia, potrebbe essere la seguente: essa è un'emozione profonda di accettazione e la consapevolezza dello stato di solitudine inevitabile in cui ogni uomo si trova. Non c’è ne paura ne giudizio in questo, solo una presa di coscienza che permette, guarda caso, di gioire sia in compagnia sia da soli, senza dipendere da nessuno.