martedì 14 giugno 2016

DIALOGHI: Il conflitto e la competizione

"Il conflitto è una cosa naturale quando non è psicologico. Due animali entrano in conflitto, poi finisce lì. Nessun residuo psicologico, nessun senso di colpa, nessun rancore. Se si accettasse la diversità, il conflitto non si perpetuerebbe. Un fiore non insegna un albero a fare profumo come lui. Un pesce non si sforza di insegnare ad un gallo a nuotare come lui. Il conflitto non crea problemi se non è psicologico. E’ il nostro bisogno di voler per forza risolverlo che lo perpetua. Il nostro desiderio di essere tutti uguali, di andare d'accordo, di comprenderci. I nostri sentimentalismi creano il conflitto psicologico. Se non capiamo qualcuno, crediamo di capirlo e lo fraintendiamo. Cerchiamo di convincerlo del nostro punto di vista. Se con la nostra attuale fidanzata non funziona più, facciamo di tutto perché riprenda a funzionare, con il risultato che nascondiamo la natura di ogni individuo, forzandolo alla nostra. La diversità è fonte di arricchimento quando non si forzano gli altri ad essere come noi. Non esisterebbe invidia se l'altro venisse preso come esempio, esisterebbe solo l'ammirazione. " "Trovi che sia utile non alimentare la competizione nel bambino?" "No. La competizione è una fase che va rispettata, come ogni altra fase. Il bambino dev'essere libero di esplorarsi, di essere violento, di piangere, di arrabbiarsi. Si cerca nella vittoria, si cerca di essere meglio del compagno, cerca attraverso lo sport di fare sempre meglio. Il problema nasce quando lo si spinge a credere che attraverso la competizione raggiungerà il successo e si affermerà. A quel punto la competizione non è più un gioco, ma una questione vitale. Si avrà così bisogno di competere ancora anche da adulti, contro qualcuno o qualcosa. Una competizione sana è quella che ti insegna sia a vincere che a perdere. Una competizione malata è quella che ti insegna solo a vincere.

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