mercoledì 8 giugno 2016

DIALOGHI: Attaccamento o Bisogno


D - Che rapporto c'è tra bisogno e attaccamento? Mi spiego: tutte le tradizioni spirituali o quasi insegnano che l'attaccamento produce dolore nel senso che quando siamo privati di qualcuno o qualcosa a cui siamo attaccati soffriamo e ciò è indiscutibilmente vero, ma il bisogno (di una casa, di un lavoro, di cibo, di relazioni sociali, di sesso ecc.) è insopprimibile e allora la ricerca della soddisfazione del bisogno non è di per se attaccamento? In sintesi la domanda è questa: l'attaccamento non è qualcosa di ineluttabile in quanto legato al bisogno?

R - Prima di comprendere questa questione, bisogna riuscire a vedere che l'attaccamento principale è con l'idea di essere qualcuno e/o qualcosa di definito e definibile. Quindi, se prima non scaviamo in profondità rimuovendo idee fisse su noi stessi, sulla vita, sulle ossa, sul mondo, su Dio, sul vicino, sul cane e sul bicchiere di vetro, non potremmo mai sapere effettivamente quali sono i nostri bisogni essenziali. Non possiamo vedere che siamo schiavi di certi attaccamenti se prima non mettiamo in questione l'attaccamento più grande, cioè le idee fisse. L'idea fissa più grande è l'idea di essere qualcuno. Una volta visto questo, potremmo scoprire che molti di quei bisogni che credevamo essenziali in realtà non lo sono. I bisogni primari sono facilmente realizzabili. Ma siamo sicuri, ad esempio, che mangiare 3 volte al giorno sia un bisogno reale? Siamo sicuri che dormire tot ore sia un bisogno primario? Siamo sicuri che il sesso sia un bisogno essenziale? Non possiamo mai saperlo se prima non scaviamo in profondità su quelli che sono i nostri attaccamenti che generano bisogni che riteniamo essenziali e magari non lo sono. Per quanto mi riguarda, ad un certo punto, ciò di cui ho bisogno si rivela momento per momento. La mente proietta sempre bisogni, ma il bisogno vero lo so nel momento in cui lo vivo. E' come dire anche che il problema vero è quello che ti costringe ad agire, non quello che ti permette di pensare.

D - Se ho ben compreso molte volte è l'attaccamento che genera il bisogno e non viceversa e per capire come stanno le cose dovremmo sforzarci di uscire dall'immagine che ci siamo fatti di noi stessi.

R - Si. Bisogna mettere pericolosamente in discussione qualsiasi pensiero, qualsiasi sensazione e qualsiasi ricerca di un equilibrio ideologico. Poi dopo sarà tutto più chiaro sui bisogni

D - Non è facile soprattutto quando i pensieri si sono sedimentati nel tempo e quando per natura o per le circo-stanze ci si aggrappa a delle sicurezze (per lo più illusorie) ma è questa la sfida del cambiamento

R - In realtà la non facilità viene percepita sempre da una struttura che non vuole. Percepisci come difficile un percorso di studi che, in fondo, non vuoi fare. C'è facilità e spontaneità anche in ciò che risulta macchinoso e complesso lì dove c'è passione e amore. 
La messa in discussione non avviene nel tempo, avviene ora. Mi accorgo che metto etichette a qualcosa, allora osservo il meccanismo, e ne sono già fuori.
La resistenza al cambiamento è la proiezione di un ego che vole combattere e rallentare il processo. E' un po' come se tu sentissi inevitabile una scelta, ma anziché farla rimandi, pianifichi, programmi.

D - il punto è nella frase che hai scritto prima: "mettere pericolosamente in discussione qualsiasi pensiero"...si tratta di accettare il salto nel vuoto ma mi rendo conto che è così

R - La pericolosità non intende una difficoltà, ma una scelta. Accetto la pericolosità di qualcosa perché ho passione e curiosità verso la sua comprensione. Non c'è difficoltà e processo nella pericolosità. La pericolosità è, di fatto, una scelta. Si potrebbe dire che è difficile fare la scelta, ma la sensazione di difficoltà è sempre un pretendere che il processo non sia già in atto o il rimandare la scelta.
E' molto più difficile e pericoloso mantenere quei concetti fissi in una vita che non fa altro che muoversi ad ogni microsecondo .



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