mercoledì 29 giugno 2016

DIALOGHI: La pretesa di amare e di essere amati

"Che ne pensi dell'amore e/o dell'innamoramento?"

"L’amore è riconoscere la non differenza. Quando si guarda qualcosa senza creare relazione mentale, ci si accorge che si è anche quello. Tutto quello che è percepito è proprio, perché il corpo, che è fatto di emozione, non può che essere parte dell'ambiente, che è anche emozione. Quando il corpo e l'ambiente diventano mentali, allora c'è divisione. Quando c'è divisione, si pretende di amare o di essere amati. Ma l'amore è in principio, non il fine. Non è il risultato di qualcosa che accade o finisce, quello viene definito "innamoramento", ma non è altro che un'emozione che prima o poi ci lascia. Più la percezione è libera da riferimenti psicologici, da relazioni personali, più la relazione è emozione. Questa emozione non è affettività, non crea quindi legami psicologici. 

"Riguardo invece la sessualità? Le cose vengono spesso mescolate."

"Il sesso, la maggior parte delle volte, è un bisogno di un corpo che ha desiderio di essere toccato e di toccare per sentirsi meglio e compensare. Quando si è perfettamente rilassati, quando si è in pace, lo stimolo della tensione generata da un'immagine, perché la nostra sessualità è fatta di immagini, non si genera. Fai caso che, normalmente, più si è infelici più si cerca soddisfazione nel cibo e nel sesso. Normalmente raggiungere il primo è più semplice, il cibo non ci dice mai di no. Il bisogno di contatto viene da una mancanza di sensibilità, perché un corpo sveglio tocca tutto ciò che vede. Si tocca sempre, ma il contatto è senza necessità di soddisfazione. La soddisfazione è sia nella vista che nel contatto. Il bisogno si annulla, e rimane l'affetto. Il desiderio può tornare, il desiderio di portarsi a letto quella donna può essere trasformato in azione, ma il fatto che accada o meno non toglie nulla a questo stato di apertura. Non è una necessità, e soprattutto non viene mescolato e confuso con altre sfere, rendendo psicologico il tutto e credendo di innamorarsi o di essere amati. Toccare una regione cosiddetta sessuale non è più intensa che toccare una spalla. In un corpo equilibrato appaiono dei cicli dove il bisogno di sesso è più forte, e se certi aspetti della sessualità non sono stati risolti, perché repressi nelle fasi importanti della vita, allora la sessualità può diventare un nodo da risolvere. Ma, come già detto, questo non toglie nulla alla tranquillità. Come ogni oggetto, il corpo è fatto di cicli, ma il bisogno viene sempre da una patologia. Ci si serve dell’altro per soddisfarsi. Se una donna non ci vuole più, andremo con la vicina, non è molto diverso. Vedere una bella donna non crea problemi, anzi, tutt'altro. Il bisogno, la necessità di portarla a letto, crea dei problemi. Il bisogno di afferrare crea tensione, ma è una tensione sana nel momento in cui ogni esperienza viene fatta pienamente, senza moralizzare o tralasciare nulla. Quando il corpo funziona normalmente senza forzature, e il pensiero è funzionale solo per risolvere problemi pratici e dare nomi alle cose, essendo pienamente consapevoli dei suoi limiti, allora nella tua vita molte cose potrebbero cambiare di riflesso. Se ho pensieri erotici non ho necessità di soddisfarli, perché nasce da un centro (mentale) che non ha niente a che fare con quello istintivo. Non c’è bisogno che cerchi di cambiare il tuo modo di mangiare per cambiarti dentro, non funzionerà. Devi partire da dentro semmai. Vale lo stesso con il sesso. Riconosci la bellezza in tutto ciò che vedi, anche nelle cose apparentemente negative, e sei così pieno di questa sensazione che i piaceri iniziano a perdere attrattiva. Sei schiavo del piacere perché vivi una vita piatta, e non intendo carente di stimoli. Anzi, al contrario più la riempi di stimoli, più la appiattisci. Il pomodoro ha sapore, ma tu hai bisogno di mettergli il sale per sentire qualcosa.Il pomodoro E' sapore! è una questione di energie, non morale"

"Quindi il sesso con l'amore non c'entra nulla"

"Con l'amore c'entra tutto, ma la confusione viene da un fattore culturale. E' l'uso delle parole che crea confusione, perché a questo appiccichiamo una convinzione che, in fondo, è del mondo, non nostra. L'amore non può essere esclusivo, e la sessualità non ha nulla di romantico. Un contatto può essere più o meno intenso, e più la sensibilità del corpo aumenta, meno necessità si ha di usare l'altro per soddisfarsi. Una sessualità sana inizia con l'esplorazione senza giudizio.
Per mancanza di visione, crediamo di essere innamorati di qualcuno, mentre è l’emozione dell’amore che ci riempie. Si sente quella emozione con qualcuno, è dunque normale attribuire l’amore a quella persona. Però, dopo essersi innamorati tredici volte, ci si rende conto che, qualsiasi sia la persona, lo stato è sempre lo stesso. Allora si ci dovrebbe chiedere: abbiamo bisogno di una situazione per essere condotti a quello stato? Poiché l'ego ha paura dell'insicurezza, le scelte che verranno fatte successivamente per "salvare la coppia", saranno mettere al mondo dei figli, prendere un cane, o sposarsi. Sono tutte scelte strategiche che, chiaramente, hanno degli interessi che con l'amore c'entrano realmente poco. Serve chiarezza, iniziare a vedere come funzioniamo, e smettere di mescolare sesso, amore, condito da speranze e romanticismi. La sessualità, come ogni altra cosa, ha una sua maturazione naturale, o almeno così dovrebbe essere. Non le viene permesso di esprimersi pienamente a causa di cattive interpretazioni, repressioni o, al contrario, improbabili visioni ascetiche che le vengono conferite. L’individuo dovrebbe liberamente esplorare il suo corpo senza giudizi, e poi approfondire il rapporto con l’altro sesso fino ad un punto in cui il sesso stesso rivela i suoi limiti. Questo significa che non si farà più confusione, perché la nostra sessualità, che è puramente mentale, si mescola con sfere che a lei non le competono. Ed ecco che il sesso diventa qualcosa che colora l’immaginario,"

"Siamo stati condizionati a vederla così".

Amore è ascolto, e quando voglio qualcosa non amo. Non confondere le cose. Dico a me stesso che voglio un'esperienza sessuale, non che voglio amare o essere amato. La pianto con queste illusioni da adolescente, e inizio a crescere. Normalmente le "delusioni amorose" anziché svegliarci, ci addormentano sempre più. Anziché aprirci ci chiudiamo e pretendiamo sempre più. Le esperienze del passato dovrebbero portarci a capire sempre più, e invece ci confondono perché guardiamo sempre dalla parte sbagliata. Amare o non amare qualcuno, è una grande ubriacatura. Amare più il proprio cane rispetto a quello del vicino, è un'errore profondo. Funzionalmente, praticamente, si sta con il proprio cane. Lo si conosce, lo si tocca, si fa il possibile per lui. Ma pretendere di amare di più il proprio cane, o il proprio figlio, rispetto ad uno sconosciuto, è un'errore grande e causa sofferenza e senso di divisione. Si passa una vita con una persona, ma l'amore non è esclusivo.





mercoledì 22 giugno 2016

DIALOGHI: Emozioni sbagliate?


D - " [ ... ] sentendomi in colpa per provare certe emozioni"


R - "Un ragionamento può essere sbagliato, un'emozione no. 
Se sei a disagio, chi ne viene disturbato è solo chi non sopporta il suo disagio, non il tuo. Chi fugge dal disagio, non ti capisce, e quindi si sente disturbato. Chi non giudica il suo disagio, comprende anche il tuo. Magari è dispiaciuto, ma non disturbato. Per chi ha paura delle sue ombre e non le conosce, tu dovresti sempre stare bene. Sorridi, gioisci, ama ... così ti abitui a farlo anche quando non è la verità.
La rabbia, quando non è psicologica, ha una sua bellezza. Una rabbia senza paura diventa incisiva, totale, senza lasciare residui. Puoi notare di solito come, mentre manifesti rabbia, un senso di chiusura che non ti permette di viverla pienamente si somma al sentire fisico, e di solito questo accade a causa di altri pensieri che ti dicono che non dovresti per molti motivi. Una sorta di censura avviene."


D - "Questo dipende molto, però, da chi ho di fronte. E' chiaro che non sempre posso esprimere completamente l'emozione."


R - "Esprimere è solo l'aspetto più superficiale. Puoi vivere il disagio dentro di te, questo non è reprimere. Reprimere è quando reputi il disagio come un errore di percorso, come ingiusto, come sbagliato. Reprimere è quando vuoi puntare quel tuo disagio verso un oggetto, e non puoi. Una insofferenza vissuta realmente dentro non è contro nessuno, nemmeno contro di te. E' sentita fisicamente e non ha come bersaglio un'immagine su cui vomitarla. Noi diamo dei nomi a ciò che proviamo, così facendo delimitiamo e separiamo. Inoltre il nome che diamo è connesso con un pensiero di "giusto o sbagliato". Sentire significa non lasciarsi ingannare dai limiti imposti dalle definizioni."


lunedì 20 giugno 2016

DIALOGHI: L'arte di vivere


[ .... ]

"Nessuna soluzione. Le soluzioni vanno bene per i problemi pratici. Perfino star poco bene in un'ambiente e voler cambiare, è un problema di tipo pratico. Andrebbe risolto con lo stesso distacco di quando si ripara un oggetto o se ne compra uno nuovo. Non c'è molto altro da dire.
Ma quando si cerca la soluzione definitiva, il senso ultimo, l'assoluto, il risveglio, la felicità, non è possibile trovare niente del genere. Ora, il fatto di non trovarlo può portare a frustrazione, solamente però se non se ne vede l'aspetto artistico.
Per un pittore non esisterà mai il quadro definitivo. Per un ballerino non ci sarà mai il passo perfetto. Un artista marziale non si sentirà mai invincibile. In arte di definitivo non c'è mai nulla, di risolutivo non c'è mai niente. Ci possono essere dei piccoli traguardi, delle piccole soddisfazioni, ma la ricerca è eterna per il gusto stesso della ricerca. Se la ricerca portasse a qualcosa, non ci sarebbe il gusto del percorso.
Come possiamo trovare un senso artistico perfino nella sofferenza? E' proprio lì la chiave. Non si tenta di scavalcare certi stati d'animo per giungere ad una soluzione, ma semmai si prova ad integrarli.
Nel silenzio e nell'assenza di soluzione, la creatività. Il prossimo passo da fare si rivela. La prossima parola da dire emerge. La maggior parte della spiritualità ipocrita offre soluzioni: fai così per diventare colì, fai questo per risolvere quello, visualizza per attrarre quell'altro. Il vero viaggio interiore non offre soluzioni, ti mostra solo come ciò che vivi non può essere escluso, e quindi ti evidenzia quanto sia inutile combattere. Abbandonare le resistenze, offre quindi, lo spazio necessario per integrare anche ciò che finora si è escluso. Ogni cosa diventa maestro, ogni elemento finora di disturbo, può diventare uno spunto per trovare quel silenzio da cui ogni forma creativa può rivelarsi."



venerdì 17 giugno 2016

DIALOGHI: Scelte condizionate

D - Quando si è molto insicuri riguardo a una decisione da prendere cosa dovrebbe prevalere nelle scelta?

R - I fatti prevalgono.
Si può dire di tutto: "segui il tuo cuore, "segui il tuo istinto", "segui ciò che senti", ma alla fine sono parole.
La decisione che viene presa è generata dall'incontro tra fattori esterni ed interni imprevedibili.

D - Se ho ben capito sei fatalista in considerazione del fatto l'idea di prendere una decisione è illusoria.

R - Prendere una decisione è un'idea. Basta vedere come funzioniamo.

D - Funzioniamo spesso condizionati e non davvero liberi

R - L'idea stessa di libertà è un errore. Il cervello non può non essere condizionato. Un condizionamento cancella e sostituisce, o si somma, ad un altro condizionamento. La chiamiamo libertà, ma è un'altro condizionamento.
Un pensiero nasce in risposta ad uno stimolo interno e/o esterno, ammesso che abbia senso dire esterno o interno,
Quindi anche il pensiero "lascio andare" è una risposta condizionata a seguito di eventi stimolo-risposta.
Un po' come dire che la lampadina crede di produrre luce, e invece ne è il tramite.

D - Beh, è la visione olistica che siamo parte dell'universo...però colgo anche un determinismo dal quale non si sfugge.
Crediamo di scegliere ma non scegliamo un bel nulla perché non si sfugge dal condizionamento, giusto?

R - La scelta è apparente. Giochiamo a scegliere, a girarci se chiamano il nostro nome, a credere di essere nati e di dover morire. Giochiamo in questo sogno fatto di immagini e sensazioni.

D- Sbaglio o qui entriamo in una concezione mistica di tipo induista che insegna che la realtà è apparente?

R - La realtà è apparente, è un fatto
La domanda è... a chi appare?

D - Diciamo che va interpretata ma se io ti do uno schiaffo il dolore lo senti

R - Certo ma infatti non si negano le sensazioni.
Si nega l'idea di credere di sapere.

D - Diciamo anche l'io o ego, come lo vogliamo chiamare, esiste ed è insopprimibile perché è l'insieme di ricordi, sensazioni, condizionamenti esterni ed interni che si sono formati nella nostra mente.

R - Si ma non creano un problema. Il problema nasce quando non accettiamo questa sofferenza, il dolore, la paura, e l'incertezza.

D - Come fai a dire che non creano un problema? quanta gente sta male perché è stata condizionata nel modo sbagliato!
conosco gli insegnamenti che dicono che la sofferenza va accettata per essere superata ma in alcuni casi è insopportabile
prendila come una domanda che sto ponendo a me stesso e che giro a te.

R - Insopportabile può essere un dolore fisico. Se la sofferenza psicologica è insopportabile è segno che ancora non si è compreso il suo meccanismo. La sofferenza è una resistenza, quindi è la resistenza dell'ego a rendere insopportabile il tutto.

D - Quindi, ad esempio, se io mi libero dall'idea di essere un animale sociale e quindi dall'idea di aver bisogno degli altri, potrei vivere il resto della mia vita in una totale solitudine senza esserne sconvolto e sprofondare nella depressione?

R - La solitudine di cui parli potrebbe essere una fuga per la paura di soffrire. La solitudine è lo stato naturale. Bisogna liberarsi dall'idea di cercare di trovare una qualche forma di soluzione definitiva.

D - Per me rimane poco chiara questa questione dell'io...viene demonizzato perché apparente o foriero di dolore, eppure siamo chiamati ad amare noi stessi, ma cosa amiamo se affermiamo di non esistere o di dover morire a noi stessi?

R - Quello che causa confusione è che cerchiamo un nesso tra due tipi di spiritualità che in realtà si muovono in due direzioni OPPOSTE, mentre noi mescoliamo il tutto. Da un lato c'è una spiritualità del marketing che ti dice che tu sei creatore, che puoi visualizzare ciò che vuoi e ottenerlo, che ti reincarnerai e potrai goderti più vite, che spari laser e attraversi i muri, che sei figo e onnipotente. In sostanza sei Dio. Basta che ami te stesso, credi in te stesso, e pompi te stesso. L'altra, la vera spiritualità, ti dice le cose come stanno, ovvero di rimuovere tutte le illusioni scavando più che puoi, e tu non sei il creatore, ma parte della creazione del sogno della, chiamiamola, coscienza.
La prima spiritualità ti da speranze, la seconda, la vera, te le toglie.

D - E quindi in quanto parte del sogno e della creazioni saremmo immortali?

R - In quanto ego no, cioè in quanto ciò che conosciamo di noi e che vorremmo si conservasse in eterno. In quanto essenza non siamo mai nati e non possiamo morire. La natura funziona così. Il corpo si trasforma, non muore. Il pensiero teme di morire.

D - Si avvicina molto al mio pensiero
anche se non abbiamo le prove per dimostrarlo
la realtà rimane un mistero.

R - la verità è un fatto ed è una prova senza dubbi. Per questo i nostri pensieri non contano, le opinioni non contano. La realtà è vero che rimane un mistero, ma la sua scientificità è proprio il mistero stesso. Non appena si tenta di dimostrare il mistero, allora rientriamo nell'errore di volerlo rivelare per paura.


martedì 14 giugno 2016

DIALOGHI: Il conflitto e la competizione

"Il conflitto è una cosa naturale quando non è psicologico. Due animali entrano in conflitto, poi finisce lì. Nessun residuo psicologico, nessun senso di colpa, nessun rancore. Se si accettasse la diversità, il conflitto non si perpetuerebbe. Un fiore non insegna un albero a fare profumo come lui. Un pesce non si sforza di insegnare ad un gallo a nuotare come lui. Il conflitto non crea problemi se non è psicologico. E’ il nostro bisogno di voler per forza risolverlo che lo perpetua. Il nostro desiderio di essere tutti uguali, di andare d'accordo, di comprenderci. I nostri sentimentalismi creano il conflitto psicologico. Se non capiamo qualcuno, crediamo di capirlo e lo fraintendiamo. Cerchiamo di convincerlo del nostro punto di vista. Se con la nostra attuale fidanzata non funziona più, facciamo di tutto perché riprenda a funzionare, con il risultato che nascondiamo la natura di ogni individuo, forzandolo alla nostra. La diversità è fonte di arricchimento quando non si forzano gli altri ad essere come noi. Non esisterebbe invidia se l'altro venisse preso come esempio, esisterebbe solo l'ammirazione. " "Trovi che sia utile non alimentare la competizione nel bambino?" "No. La competizione è una fase che va rispettata, come ogni altra fase. Il bambino dev'essere libero di esplorarsi, di essere violento, di piangere, di arrabbiarsi. Si cerca nella vittoria, si cerca di essere meglio del compagno, cerca attraverso lo sport di fare sempre meglio. Il problema nasce quando lo si spinge a credere che attraverso la competizione raggiungerà il successo e si affermerà. A quel punto la competizione non è più un gioco, ma una questione vitale. Si avrà così bisogno di competere ancora anche da adulti, contro qualcuno o qualcosa. Una competizione sana è quella che ti insegna sia a vincere che a perdere. Una competizione malata è quella che ti insegna solo a vincere.

mercoledì 8 giugno 2016

DIALOGHI: Attaccamento o Bisogno


D - Che rapporto c'è tra bisogno e attaccamento? Mi spiego: tutte le tradizioni spirituali o quasi insegnano che l'attaccamento produce dolore nel senso che quando siamo privati di qualcuno o qualcosa a cui siamo attaccati soffriamo e ciò è indiscutibilmente vero, ma il bisogno (di una casa, di un lavoro, di cibo, di relazioni sociali, di sesso ecc.) è insopprimibile e allora la ricerca della soddisfazione del bisogno non è di per se attaccamento? In sintesi la domanda è questa: l'attaccamento non è qualcosa di ineluttabile in quanto legato al bisogno?

R - Prima di comprendere questa questione, bisogna riuscire a vedere che l'attaccamento principale è con l'idea di essere qualcuno e/o qualcosa di definito e definibile. Quindi, se prima non scaviamo in profondità rimuovendo idee fisse su noi stessi, sulla vita, sulle ossa, sul mondo, su Dio, sul vicino, sul cane e sul bicchiere di vetro, non potremmo mai sapere effettivamente quali sono i nostri bisogni essenziali. Non possiamo vedere che siamo schiavi di certi attaccamenti se prima non mettiamo in questione l'attaccamento più grande, cioè le idee fisse. L'idea fissa più grande è l'idea di essere qualcuno. Una volta visto questo, potremmo scoprire che molti di quei bisogni che credevamo essenziali in realtà non lo sono. I bisogni primari sono facilmente realizzabili. Ma siamo sicuri, ad esempio, che mangiare 3 volte al giorno sia un bisogno reale? Siamo sicuri che dormire tot ore sia un bisogno primario? Siamo sicuri che il sesso sia un bisogno essenziale? Non possiamo mai saperlo se prima non scaviamo in profondità su quelli che sono i nostri attaccamenti che generano bisogni che riteniamo essenziali e magari non lo sono. Per quanto mi riguarda, ad un certo punto, ciò di cui ho bisogno si rivela momento per momento. La mente proietta sempre bisogni, ma il bisogno vero lo so nel momento in cui lo vivo. E' come dire anche che il problema vero è quello che ti costringe ad agire, non quello che ti permette di pensare.

D - Se ho ben compreso molte volte è l'attaccamento che genera il bisogno e non viceversa e per capire come stanno le cose dovremmo sforzarci di uscire dall'immagine che ci siamo fatti di noi stessi.

R - Si. Bisogna mettere pericolosamente in discussione qualsiasi pensiero, qualsiasi sensazione e qualsiasi ricerca di un equilibrio ideologico. Poi dopo sarà tutto più chiaro sui bisogni

D - Non è facile soprattutto quando i pensieri si sono sedimentati nel tempo e quando per natura o per le circo-stanze ci si aggrappa a delle sicurezze (per lo più illusorie) ma è questa la sfida del cambiamento

R - In realtà la non facilità viene percepita sempre da una struttura che non vuole. Percepisci come difficile un percorso di studi che, in fondo, non vuoi fare. C'è facilità e spontaneità anche in ciò che risulta macchinoso e complesso lì dove c'è passione e amore. 
La messa in discussione non avviene nel tempo, avviene ora. Mi accorgo che metto etichette a qualcosa, allora osservo il meccanismo, e ne sono già fuori.
La resistenza al cambiamento è la proiezione di un ego che vole combattere e rallentare il processo. E' un po' come se tu sentissi inevitabile una scelta, ma anziché farla rimandi, pianifichi, programmi.

D - il punto è nella frase che hai scritto prima: "mettere pericolosamente in discussione qualsiasi pensiero"...si tratta di accettare il salto nel vuoto ma mi rendo conto che è così

R - La pericolosità non intende una difficoltà, ma una scelta. Accetto la pericolosità di qualcosa perché ho passione e curiosità verso la sua comprensione. Non c'è difficoltà e processo nella pericolosità. La pericolosità è, di fatto, una scelta. Si potrebbe dire che è difficile fare la scelta, ma la sensazione di difficoltà è sempre un pretendere che il processo non sia già in atto o il rimandare la scelta.
E' molto più difficile e pericoloso mantenere quei concetti fissi in una vita che non fa altro che muoversi ad ogni microsecondo .



lunedì 6 giugno 2016

DIALOGHI: Credere?

D - "Tu a cosa credi?"

"Credo in Dio, credo in te, credo nello scopo finale, credo nella scienza, credo nell'amore, credo in me stesso ... sono tutte idee striminzite. 
Credere è come avere delle stampelle e immaginare che siano necessarie."

D - "Credere può dare una speranza"

"Sperare è inutile, non ti permette di vivere. Sperare è immaginare, ma a differenza dei visionari che giocano con il loro mondo di immaginazione, come i bambini, l'adulto medio ne è spaventato. E' terrorizzato da ciò in cui crede, perché teme che senza queste stampelle cadrebbe. Chi butta le stampelle una volta per tutte, non vuole più usarle. Posso prima credere in una religione e poi in un'altra, o prima credere in Dio e poi credere nella scienza, o magari prima credo in te, poi mi deludi, e credo solo in me. Poi credo in una visione spirituale, e poi in un'altra. Prima credo in un sistema politico, e poi cambio. Prima credo nel caso e poi nelle coincidenze. L'apertura non ci trova se continuiamo a cercare un equilibrio ideologico. Sto solo continuando a cambiare le stampelle. Credere è come immaginare di avere una malattia quando in realtà si sta bene. Si ha bisogno di sentirsi malati per paura di affrontare la vita completamente aperti, senza scudi del genere. "


giovedì 2 giugno 2016

DIALOGHI: Sucidio




"Che ne pensi del suicidio? Alcuni non ce la fanno a reggere questi pesi psicologici. Il suicidio lo vedi come un'atto di codardia?"

"Bisogna accettare che alcuni non ce la fanno, ma voglio vedere il tema in un'ottica più ampia.
Suicidio non è solo il gesto estremo fisico.
Si sceglie di suicidarsi quando si scende a compromessi sacrificando la propria individualità, il proprio sentire, la spinta profonda. Quando si prende un impegno, si fa una promessa, anche se questa finisce con il travolgere un disagio di fondo che si decide di tappare, di nascondere, di sorvolare. Il suicidio inizia da quì, mettendosi da soli le catene, e questo potrebbe portare ad un suicidio fisico in futuro. Ci si suicida quando l'identificazione con qualcosa è totale: se sono un architetto, quando perdo il lavoro, mi sentirò morire. Se sono un marito, quando perderò la moglie mi sentirò morire. Quando ci crediamo il ruolo che svogliamo, allora una volta perso penseremo al suicidio.
Si suicida lentamente colui che ha deciso di voltare le spalle alla verità, seguendo le bugie. Queste sono rappresentate dalla priorità delle convenzioni, dei doveri, degli sforzi per raggiungere obiettivi che non si sentono, dal tentativo di rendere felice gli altri a discapito di se stessi, dal dimenticarsi della propria natura. Il suicidio inizia da qui."