sabato 14 aprile 2012

Malinconia non è tristezza parte 1



ricordo l'uscita del libro:  http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/miscellanea/liberarsi-dentro-pintaudi.html




La distinzione tra malinconia e tristezza, è un po’ come quella tra isolamento e solitudine, cioè passare da un livello di sofferenza ad uno di insofferenza consapevole potremmo dire, di inquietudine, ma senza sperimentare la sofferenza propria della tristezza depressiva.

Non è una sofferenza che fa male, anzi, in questo “male” si avverte una piacevole sensazione profonda e diluita. E’ lo stesso motivo che ci spinge ad ascoltare una canzone malinconica o vedere un film commovente, senza entrare troppo nel merito della soggettività che non posso certo affrontare qui.  Di sicuro il fruitore di un’esperienza malinconica, un’opera d’arte, una canzone, un dipinto, un film o una poesia, se si trova in un livello superficiale di sé (alla ricerca di sole emozioni positive), percepirà tristezza rifiutando l’emozione. Bollerà l'opera come triste e la scarterà. Il superficiale non è in grado di accedere ad altri livelli emotivi più profondi, sta infatti in superficie: bloccato nei concetti e nelle teorie, nel giusto e nello sbagliato, nel bello e nel brutto. Il superficiale ama o odia, di solito un solo tipo di emozione grossolana, incapace di provare altri "livelli" perché lui stesso si chiude in un concetto e idea di se stesso, con un pizzico di vanto.


Il malinconico scende nella profondità del suo sentimento senza rifiutarlo, perché è parte integrante del centro, mentre il triste, perché annoiato, depresso o pauroso, non può accedere a questo “livello” perché non ha un centro. Poiché le sue emozioni interiori dipendono da stimoli esterni (soggetti, oggetti, situazioni, circostanze, avvenimenti) ed interni (pensieri, preoccupazioni, ansie, desideri, fastidi) non conosce altro ... non può! Tuttavia la tristezza, potremmo dire poeticamente o metaforicamente parlando, dell’anima, è malinconia. Chi non è in contatto con questa dimensione la rifiuta, perché ha timore del vuoto che crea. Ed ecco che ha paura di rimanere solo, perché se la sua felicità dipende dagli altri e dalle loro attenzioni, la solitudine diventa isolamento, generando l’egoismo che viene oggi abilmente definito gelosia.



La mia definizione personale di malinconia, potrebbe essere la seguente: essa è un'emozione profonda di accettazione e la consapevolezza dello stato di solitudine inevitabile in cui ogni uomo si trova. Non c’è ne paura ne giudizio in questo, solo una presa di coscienza che permette, guarda caso, di gioire sia in compagnia sia da soli, senza dipendere da nessuno.

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